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E perdonami se non ritorno. |
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martedì 14 aprile 2009 | ||||||
Scegliere un posto e chiamarlo arrivo. Quanto ci vuole? Un attimo, uno spazio, un pennarello. Cose semplici, alla portata di chiunque. Lo stappi e scrivi in stampatello ARRIVO. Poi ti siedi e ti riposi prima di una nuova partenza. Perché sei tu a decidere quando fermarti, sederti, respirare. Sei tu, non l’hai ancora capito? In realtà non basta un pennarello, serve anche un po’ di coraggio e quello è già più raro. Quello è già una dote. Una ricchezza, una fortuna. E me lo sono ritrovato come moneta fuoricorso nelle tasche, come compagno di viaggio inaspettato, come assegno in bianco da spendere per la cifra che voglio. E come c’è finito chi lo sa.
Ho sul letto una valigia aperta di fretta, il computer portatile riempito di niente, un sacco di parole e un sacco di pazienza. Ho sul letto luoghi da visitare che so di dover portare indietro nella speciale sacca che tengo nel petto. E ho un orologio fermo che riprenderà a scorrere proprio lì, sulla lingua di terra che si sdraia sull’oceano e lo dirige come un maestro d’orchestra. Ho una pelle che diventerà irsuta come carta vetrata. E foto scattate con gli occhi, occhi portati come pegno d’amore, amori dimenticati da qualche parte e ritrovati tutti insieme. Chissà. So che ad aspettare c’è qualcosa e chiedermi cosa è domanda inutile. Non lo so. Non lo so proprio. Però c’è. Ci sono ferri vecchi e malinconia, una saudade intraducibile, con cui fare i conti ogni giorno della vita. Ci sono mucchi di parole nascosti sotto qualche sasso, e lucertole e sentieri sterrati che finiscono nell’oceano. Ci sono “la fine del mondo”, col suo faro, e fiumi dove i pesci parlano lingue diverse. Ci sono valli che tengono sospesi i respiri. E colonne che delimitano confini primordiali. E adesso torno lì, dove sono stato già quand’ero un altro. Quando questo tempo, questi terremoti, queste lacrime, ancora non erano accaduti. Quando ancora le parole erano semi e non fiori, quando le dita ticchettavano senza pensare, e pensavano senza parlare. Adesso ritorno in modo diverso, ritorno cambiato rispetto all’ultima volta. Ritorno senza voler conquistare. Ritorno in pace. E l’attesa di trovarmi lì è moneta, carezza, spade inguainate nei foderi a formare croci sulla schiena. È un abbraccio che acquieta, un sorriso che leviga. L’attesa di arrivare è inferiore solo al desiderio di restare. Di Lisbona mi è rimasto dentro il cielo. Forse qualche risacca dell’oceano, una lisca di pesce e un bastoncino di cannella. Di Lisbona mi è rimasto nel petto un tramonto, che nemmeno la fotocamera voleva saperne di ricordare. Di Lisbona mi è rimasto dentro quel che sentivo dentro di Lisbona. Se esistessero le parole buone, si potrebbe usarle adesso, che è il momento giusto. Invece le parole giocano a nascondino proprio quando le cerchi con più decisione. E adesso la paura è di non capire. Ma il Portogallo è fatto apposta per non capire. Questo Portogallo è un arrivo, lo scriverò col pennarello da qualche parte. Un arrivo e una partenza, come ogni arrivo. E una volta lì ci sarà da capire. Ora sto sdraiato al sole delle certezze di vetro – trasparenti, fragili – di questa parte di vita, e annuvola. All’improvviso, come un foglio di carta del presepe fatto scorrere sul cielo vero. Come una carezza, che passa e un attimo dopo già ne dubiti il passaggio.La paura è non capire le ragioni dei ritorni, trovare motivi per ripercorrere a ritroso la strada. Tornare qui, tornarci ancora. Ritrovarmi nuovamente nell'attesa. La paura è non capire perchè tornare qui, perchè tornare a casa, perchè tornare indietro. Vorrei conoscere le ragioni del gambero e delle nuvole. Da una parte quel camminare a ritroso, dall'altra quel nascondere il cielo. Ecco, mi capita. Cammino a ritroso e mi nascondo il cielo. Spero tu abbia compreso cosa mi passa in testa, dove vado, perchè. Io vado via, tu tienimi stretto, e perdonami se non ritorno. Perdonami. E se magari il sole ci trovasse ancora insieme, avremmo sopravvissuto anche a queste distanze. La valigia è pronta, manca solo un pennarello. Roberto
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L'Aforisma
La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice. - José Saramago