La porta di casa
Ci sono momenti in cui ci si sente rinchiusi da qualche parte.
Sono momenti qualsiasi, in cui la nostra vita non differisce chissà quanto dal passato, in cui siamo pressochè gli stessi di sempre, però dentro prende piede quella greve sensazione di limitazione. Si avvertono attorno recinti che non ci sono, gabbie, muri, divieti. Si avverte di non potere, di non potere più, all’improvviso, fare ciò che si vuole. Che succede? Perchè, adesso, capita che attorno sento poco spazio, poco movimento, poca vitalità?
Ora sento di essere da qualche parte. Chiuso, chiuso dentro. E non so dire in che posto sia, non so dire nemmeno quando, sento solo e soltanto che non c’è più un vero e proprio fuori. Sento di non voler uscire, sento che, fuori, d’un tratto, non c’è granchè. Sento che i ricordi potranno bastare e i rimpianti non riusciranno mai ad entrare. Sento che sto bene, che chiudere a chiave la porta e le finestre è doveroso, certe volte. Come doveroso è far la conta dei propri beni di necessità, della propria capacità di sopravvivere. E sento che l’inventario della propria anima è quanto di più profondo si possa fare.
Ora però mi sento solo, ma è una solitudine colorata la mia, e forse la solitudine ci sta tutta, nel senso che chiudersi dentro a volte fa bene, per certi versi. Ma una casa, barricata, non solo non consente a nessuno di entrare, ma nemmeno a me di venirne fuori. Perchè il problema non è rinchiudersi, il problema è non desiderare più di uscire. Il problema è quando ci si rinchiude senza voler uscire più. Ci si dimentica di quanto c’è, più in là di certe porte. Più in là di certi muri.
Poi qualcuno bussa.
E quando senti le nocche delle mani toccarti la porta capisci una cosa fondamentale. La porta è la parte più importante di una casa. Perchè da lì entra il meritevole ed esce il trascurabile. Dalla porta passano i ricordi più belli e i rimpianti, le sorprese che ti regala chi ti ama, il vento freddo delle sere buie, la luce chiara della luna. Ci passano i padri e figli, la legna per il fuoco e le buste di cibo.
E va lasciata aperta. La porta va lasciata aperta, nonostante il rischio che comporti. E’ molto più grande il rischio che si corre nel barricarsi dentro, nello smarrire le stelle di notte e le ombre d’estate. Molto più grave dimenticarsi paesaggi e raggi di sole. Perdersi i tramonti e certi sorrisi.
E allora porta aperta e finestre pure. Le finestre senza tendine, addirittura. Perchè il mondo è fuori e dentro solo noi che del mondo siamo protagonisti e comparse. Col nostro mondo dentro, certo, ma quel mondo è nostro e ci facciamo quel che vogliamo.
E così fuori. Oltre il rischio di avere sensazioni che sono riassunti di idee e sensazioni vissute da altri. Viviamoci i nostri battiti, i nostri fremiti, le nostre malinconie e i nostri dolori. Viviamoci i nostri tramonti e le nostre donne, i nostri caffè, le nostre stupide idiozie, i nostri errori.
Porte aperte. Rischiamo. Facciamoci visitare.
Roberto