Viaggiare, ancora
Di ritorno da una presentazione del nuovo libro dell’amico Paolo Di Paolo (Ogni viaggio è un romanzo, Laterza) non posso fare a meno di pensare a me, alla mia vita. A questo viaggiare continuo e quasi nomade. Toccare senza farsi sentire, sfiorarsi senza contaminarsi. Andare e tornare, poi ripartire e tornare ancora. E il senso del viaggio qual è?
Il senso di un viaggio. Viaggiare. Fermarsi. Riposare. Viaggiare, ancora.
Si può viaggiare per diletto, per curiosità, per semplice desiderio di cambiare il paesaggio che ci invade gli occhi da una vita. Si può viaggiare per brama di conoscenza, per semplice voglia di ampliare i propri orizzonti, per turismo, per riposo, per lavoro.
Non è di questo, però, che mi preme dire. Raffaele La Capria, uno dei massimi scrittori italiani viventi, puntualizza che si viaggia anche stando fermi, in casa propria, magari davanti alla finestra. Che lui un viaggiatore non lo è mai stato nel senso che si intende di consueto. Lui ha preferito la sua casa, eppure sente di aver viaggiato moltissimo. Come?
Viaggi simili si fanno grazie ai libri. Già, il libro come una valigia, passatemi la similitudine, che contiene tutto ciò che ci serve in un luogo sconosciuto. Il libro come necessità di capire, prima ancora di vedere monumenti, chiese e musei; il libro come contenitore di esperienze, il libro come bagaglio, come borraccia a cui abbeverarsi quando la sete di sè si fa troppo forte.
Viaggiare. Ancora. Senza l’ansia di vedere, senza la smania di girare. Con la semplice gioia che da il silenzio di un luogo lontano. Ma lontano è anche qui. E’ anche dove andiamo quando ci isoliamo con noi stessi, in quei momenti in cui ogni cosa che non è dentro è distante. E il silenzio, poi, non è solo quello che non è rumore, anche se il silenzio è diventato sempre più una rarità preoccupante.
Il silenzio che si cerca è quello, l’unico, in cui si riesce ad ascoltare la propria anima. Non servono eremi, montagne innevate o pianure sterminate. Non necessariamente. Probabilmente serve un’attitudine, serve una volontà, serve l’orecchio teso e la mente ricettiva, tarata sulle frequenze giuste. Solo quel silenzio è padre di viaggi sconfinati.
Viaggiare, ancora. Senza pensare al ritorno, che il ritorno si sa non è prevedibile per certi viaggi. Occorre farsi un biglietto aperto, di quelli che appena la voglia di tornare sale per le vene vai all’aeroporto e vieni via. Perchè la voglia di tornare a casa è il senso vero di un viaggio. Uno prende tutto e se ne va, per qualsiasi motivo, se ne va dove vuole, poi a un certo punto sente desiderio dell’odore che c’è sul divano di casa sua, si immagina la pioggia rigare i vetri della cucina, il gatto attaccarsi alle tende del salone e quel lavandino che l’acqua calda non esce mai. Il momento di cui parlo è quello lì. Quando torna la voglia di tornare a casa. Lì il viaggio è finito.
Viaggiare, ancora. Viaggiare, comunque.
Rincorrendo le parole che ho dentro, senza esserne cosciente. Lungo i lidi di una incontinenza. Chi scrive lo è, in fondo. E’ incontinente. Incontinente nel non sapersi tenere dentro certi attimi.
Viaggiare, ancora. Grazie alla mensola su cui certi libri trovano spazio sempre. Grazie alle parole che tento di scrivere. Questo, adesso, mi sembra il viaggio più sensato.
A presto,
Roberto
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