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Melassa e carri armati

La carta dei pacchi regalo è ancora davanti agli occhi.

Mezza accartocciata, magari, o buona per essere riutilizzata in altre occasioni, purché non abbia qualcosa di evidentemente natalizio. Il conto alla rovescia per smontare l’albero di Natale, luminoso, intermittente. La neve sul Presepe è caduta da un pezzo, anche i personaggi più importanti preparano i sacchi, le borse. Sarà lungo il viaggio.

La testa fatica. Non so se è la banale noia delle feste, o il fastidio irrecuperabile delle cose che vanno alla rovescia.

Il tempo che passa porta con sé appunti insensati. Più si cresce, meno si sogna, dice qualcuno. Io non sono d’accordo, penso che si sogni in maniera diversa. Non penso che la vita sia in grado di spegnere sogni. Quello no. Però può fare qualcosa di peggio. Guardiamoci attorno. C’è sapore di zucchero nell’aria, siamo convinti della nostra felicità al punto da dimenticare che non è felicità quella di cui si riesce a quantificare l’intensità. Parlare. Quello sì, oggi ci riesce bene. Parlare di tutto, sempre, a sproposito, con convinta competenza di vetro. Ma ascoltare no, non più. Sappiamo tutto di tutto, basta un PC, una TV, un quotidiano e sappiamo tutto di tutti, ma di noi? Che cosa sappiamo di noi? Quali sono le notizie di oggi del nostro cuore? Quanti feriti ci sono nella nostra anima? Quanti delitti? Quante insoddisfazioni? E perché ogni persona è così distante dal mondo di cui dovrebbe far parte? Sappiamo i morti in Palestina quotidianamente, sappiamo tutte le amanti dei vip, le parole del Papa, i libri di Baricco. Ma di noi? Che cosa sappiamo di cosa ci rende davvero felici? Una serata diversa a Capodanno? Qualche giorno lontani da casa? Un amore rincorso col fiatone da una vita? Cosa? 

Ce l’ho davanti lo schermo del PC. Basta cercare una parola qualunque e si sa tutto quanto. Eppure, se cerco me, non so nulla in più di ciò che so già. Perché?

In questi giorni penso alle mie amicizie. Quelle di una vita. Penso al perché, in una stagione dell’esistenza, si diventa amici senza quasi poterlo scegliere. Scuola, catechismo, palestra, calcio, quartiere. E perché poi, invece, all’improvviso esserlo diventa una scelta, un’esigenza, un impegno. L’amicizia diventa qualcosa che ha bisogno di requisiti precisi. Altrimenti no, no mi dispiace, ma io con quelli come te non voglio aver nulla a che fare. Il tempo e la vita forse cambiamo il concetto di amicizia, il nostro modo di viverlo. O forse l’amicizia che viviamo da bambini non è amicizia, è compagnia. E l’amicizia la conosciamo solo da grandi.

Non lo so, so che l’amicizia che c’è quando si è grandi mi piace sempre meno. Si rinuncia sempre meno agli impegni personali, sacrificando spesso lo stare insieme, pur di fare ciò che si crede migliore per sé. Ci si vede solo se mille se sono soddisfatti, solo se non c’è un motivo che va contro il vedersi. Da piccoli no, da piccoli era l’opposto, la differenza è sottile: ci si vedeva finché si aveva anche solo un motivo per farlo.

Io non sono d’accordo con chi mi dice che è normale. Non è normale stare soli purché si faccia ciò che si vuole. Stare con gli altri è il compromesso per eccellenza, invece no. Tutti soli appassionatamente. E sempre meno vivi. Sempre meno soddisfatti ma con l’illusione pericolosa di esserlo. Ognuno sta solo, si crede felice. Eppure, poi, non appena finisce lo zucchero di illusioni aleatorie eccoci lì a rincorrere un altro obiettivo inutile. La vita non è un obiettivo qualunque, è un viaggio. E i viaggi non hanno obiettivi, hanno percorsi.

E’ tempo di melassa e carri armati. E basta respirare l’aria per le strade di questi tempi. L’aria natalizia. E poi guardare un telegiornale. Lucine per le strade che si illuminano a intermittenza e lucine alla televisione, lontane, che si illuminano a intermittenza anche loro. Ma sono bombe.

La melassa è dolce, se l’assaggi. Ma ti immobilizza, se ci finisci dentro. E i carri armati sono appena appena oltre le luci di questo Natale felice. La felicità è forse stare insieme di più, condividere. I momenti più belli di una vita sono e resteranno solo quelli che si ricordano con qualcun altro. Questa mi sembra la chiave: incontrarsi, ascoltarsi. Così facciamo il gioco di chi ci vuole felici senza niente. Senza niente di vero.

Ed ecco come va a finire, poi. Anche l’albero di Natale, adesso, non ne può più di scintillare finto.

Roberto

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