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Confini incerti

Il confine è fatto per dire di qua c’è qualcosa, di là un’altra cosa.

Può essere tra due stati, due proprietà, due personalità, due storie, due fasi della vita, due ricordi, il silenzio tra due tracce audio, l’intervallo tra i tempi di un film o tra gli atti di una commedia teatrale. Può essere tra la tonalità di due colori, tra il timbro di due voci, tra il bianco e il nero su un foglio scritto fitto fitto. Può essere di libero transito o gestito da dogane severe. Ma il confine, quando esiste, è netto.

Non esiste l’incertezza. Non può esistere. Perché non esisterebbe il confine. Quando a qualcuno prende la briga di confinare qualcosa entro un recinto è perché vuol dividerla dal mondo, racchiuderla, limitarla. DISTINGUERLA.

Agli uomini i confini servono per distinguere. Ma devono essere precisi, definiti. Non appannati, sfumati, indefinibili! Non c’è concetto che si contraddica di più di questo: confine incerto.

Eppure noto che sta accadendo qualcosa di ridicolo. Il concetto di confine non esiste quasi più. A partire dai sentimenti. Passando per i desideri, attraversando i sogni, le ambizioni, i futuri, lungo tutto ciò che si cerca di definire.

E allora vi dico qualcosa che senz’altro farà discutere, creerà polemica, ma che penso. E la dico non perchè disprezzi una delle coppie di realtà che vi vado a elencare, il mio è un tentativo di definire, per una volta, qualcosa di meno incerto del solito. Di tornare a dividere, necessità umana, quel che è in un verso e quel che è in un altro. E allora il matrimonio e la convivenza si confondono, ma sono realtà differenti. L’amore e il sesso, poi, nemmeno tento di accennarlo, sarebbe ridicolo. E l’amicizia con la conoscenza, la frequentazione con la condivisione. La politica con la televisione. Le parole dette per ottenere qualcosa e le idee pure, gli ideali e gli obiettivi. La sincerità e la circostanza. L’ambizione e l’arrivismo. Il lavoro e la precarietà. Il sorriso e la felicità. Il timore delle regole e il rispetto. La legalità e la civiltà.

Sono tutti concetti diversi, alcuni addirittura contrari, ma si confondono. Noi li confondiamo. Abbiamo imparato a confonderli. Sorridere, ad esempio, non è esser felici. Avere amicizie non è conoscere tanta gente. Eppure lo sta diventando. Oggi gli amici sono nomi sulla rubrica di un cellulare. Le serate insieme sono righe e righe di parole su Messenger. Le storie d’amore sono atti sessuali in macchine parcheggiate al buio. Il rispetto delle regole avviene per paura della pena non per civiltà e rispetto del prossimo. Si lavora tre mesi sì e tre no, e sembra normale, stanno pian piano facendo in modo che ci sembri normale, aumenta la mobilità lavorativa del resto. La politica è un talk show e poi silenzio nei luoghi che contano, e menefreghismo, e inspiegabile distanza dalla vita vera.

Oggi accade che si confonde tutto. Accade che ciò che un confine racchiude e ciò che un confine esclude sia assurdamente trascurabile. NON E’ COSI’. Non è affatto trascurabile, maledizione. Altrimenti togliamo tutti i generi di limiti, confini, recinti e via!

Non esiste più definizione che non sia confutabile. Che non sia vittima di un dipende che lentamente ci sta togliendo persino la terra sotto i piedi. Non dipende. Per certe cose non dipende. Cazzo. E dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo, di urlarcelo nel cuore, di memorizzarlo sul disco fisso del nostro cervello e proteggerlo da sovrascritture. Il relativismo è importante, perché contestualizza i dubbi e assicura una crescita razionale, ma non deve invadere la vita. Non può invadere la vita, perché si rischia di fare i conti con un tutto che vale nulla, con ricordi che sono zero e speranze che non esistono.

La scelta. La scelta di essere questo o quello non esiste quasi più. Di fare piuttosto che non farlo, di dire o restare in silenzio. Bisogna riappropriarsi della nostra capacità di arbitrio, bisogna tornare a racchiudere almeno le cose che contano entro confini  meno incerti, stabiliti, sicuri. Come certi castelli del medioevo.

Ne va della genuinità e della freschezza nostra vita.

Roberto

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