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Il “didietro” dei libri

Un capannone immenso, in cui mio padre, quando ero piccolo, ci rinchiudeva King Kong.

Mi diceva che lì, sdraiato, riposava la stanchezza delle sue avventure inenarrabili.

“Due capannoni immensi. Forse King Kong, oltre a se stesso, ci ripone i suoi oggetti di valore”. Ho pensato esattamente questo, stamattina, mentre mi avvicinavo a due imponenti strutture prefabbricate. Esattamente questo. E invece King Kong non c’era, dentro quei capannoni. C’era altro. C’era il “didietro” dei libri.

Immaginate una piazza, una piazza coperta. E dentro questa piazza quattro macchinari enormi, grossi come camion. Da questi macchinari vengono fuori le parole. Impressionate su carta. Le parole degli altri. Le parole come le conosciamo noi, stampate su carta e colorate, messe in ordine, rilegate, impaginate.

E pile di fogli bianchi. E pile di fogli pieni. E carta dappertutto. E ceste di colore e gente che rincorre le parole degli altri per fissarle da qualche parte, per sempre.

E poi l’odore. Acre e dolce, che tappa le narici come cotone, e sveglia menti sopite come essenza, e brucia la gola come fumo. Piacevole, irresistibile, insopportabile. Il profumo di un libro. Il profumo di un libro non è sempre quello che è quando lo prendiamo da uno scaffale e lo sfogliamo vicino al naso, il profumo di un libro cambia col tempo, è come il profumo di un bimbo.

Mi sono reso conto di quanto si è sciocchi. Superficiali nel prendere qualcosa per ciò che è in un preciso momento della sua esistenza. E basta. Quanto si è sciocchi. Del resto anche io, come tutti, sono stato molti altri prima di essere questo Roberto qui. Quanto si sottovaluta il tempo, il tempo che passa, e cambia ogni cosa, e fa nascere un’idea, la colma d’ispirazione, dona la forza di scriverla, di renderla coerente e originale, pubblicarla. Già, che sciocchi. C’è tutto questo e chissà cos’altro nel “didietro” di un libro. C’è l’intuizione di un titolo, il dilemma di una copertina, le parole della quarta.

Quando si tiene in mano un libro si ha la sensazione che venga “partorito” esattamente così, come se se ne venisse fuori dal ventro di un qualche stregone della tipografia. Intero. E invece no. Un libro è un progetto, è pensato nei minimi dettagli, è partorito, quello sì, ma dall’ingegno, dalla passione, dalla competenza di certi esseri umani. E quando se ne prende uno in mano, bisognerebbe pensarla questa cosa, bisognerebbe farci i conti. Si comprenderebbe forse che il “didietro” non solo esiste, ma è più importante, fondamentale, imprescindibile. Che il “didietro” è ciò che da senso, forma, l’unica ragione di un fremito e l’unica terapia ad un dolore.

Ahi voglia a dire che è il contenuto, non la forma, la sostanza delle cose. Ahi voglia! Siamo malati, sprecati, irrecuperabili. Abbiamo la sensazione di aver vinto, e siamo vinti dalla velocità di un mondo che galoppa e ci consente di percepire la sola superficie delle cose. Eppure continuamente ci arrivano stimoli dal dietro, dall’oscuro, dal latente.

Dobbiamo aver pazienza. Dobbiamo avere curiosità, forse invadenza. Dobbiamo sapere che c’è sempre una colonna a reggere un bel vaso di fiori. E quando impareremo a guardare dietro, dentro, accanto scopriremo l’infinito. E avremo un mucchio di belle sorprese.

Tipo che nei capannoni di King Kong ci stampano parole.

Roberto

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