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Ordinate speranze e malinconia

Mi sembra questo, ora, la mia vita.

Ordinate speranze e malinconia.

Vedersi sempre meno e sempre peggio, tenere la bocca chiusa e le orecchie, quelle sì, sempre più aperte per ricevere i quintali di schifo che ci riversano dentro. Ordinate speranze e malinconia, e si va avanti.

Che poi ci si guarda intorno e tutto va abbastanza bene, e tutto c’è, e tutto funziona, e tutto esiste e ci fa felici. Ma manca qualcosa. Com’è possibile? Com’è possibile che manchi qualcosa? Manca qualcosa. Cosa? Cos’è questa stanchezza di esistere, questa evasione che non faremmo neppure se dimenticassero la porta della cella aperta? 

E perchè le speranze restano ordinate tra cuore e cervello, impilate come fogli da lavorare, una dopo l’altra, come fogli che lavorati poi vengono buttati via?

E cos’è questa malinconia senza soggetto? Cos’è? Si può avere nostalgia di qualcosa che non si sa? Di qualcosa che non si comprende, che non si conosce, che si ignora? Si può avere nostalgia di niente?

E ti adoro, vita mia, ma non so perchè. Nè so perchè ti odio. Nè so perchè mi manca il fiato, a volte le forze, la motivazione. O perchè gli ostacoli che uno salta agilmente a volte sembrano insuperabili. Mi manca la gioia di saltare forse, o la ragione. O mi sembra di poter saltare tutto e non ricevere nulla. Non so. Forse ci è stato dato in parte soltanto quel che è sufficiente per esistere. E non parlo di materialità, di quella saremmo ipocriti a lamentarci. Parlo di altro. Di quel che aumenta il battito del cuore, il fiatone, l’ansia. Di quello che, nel tutto, non ci fa apprezzare nulla. Come se fosse scontato qualcosa, nella vita. Niente lo è, nella vita.

So da sempre che la speranza è insita nel concetto di futuro. E che un futuro senza speranze è come un treno senza binari.

Nessuno può negare che, dentro al suo letto, la sera, nei momenti in cui se stesso diventa l’unico vero interlocutore, spera che il giorno seguente sarà migliore di quello vissuto. Sarà che l’uomo può andare solo avanti, e invece finge a se stesso di avere il lusso di poter scegliere, sarà che si limita a inseguire futuri, lungo la retta fluida del tempo, quasi violentato da un percorso stabilito. O sarà che, dall’altra parte, i ricordi sono fissi come sculture di marmo che, per quanto ben fatte, non s’arrischiano al movimento. Eppure, a malincuore, noto un timore della speranza. Noto una paura, un’altalena imprecisa, un brivido.

Chi spera oggi? Chi lo fa davvero? Esiste ancora la speranza sana di un futuro dolce, caldo, familiare? Cosa si spera, oggi? Oggi si sperano il successo, i soldi, la notorietà. Oggi si spera di essere qualcuno godendosi la vita. Si spera di poter avere, di poter fare, di potersi permettere. Non si spera più di essere.

C’è ancora chi spera di farsi una famiglia, crescere dei bambini, avere una casa entro cui esistere insieme al proprio amore?

E allora chi ha le sue speranze, ancora, è costretto a tenerle ordinate, per non confonderle con chi urla. Perchè sarebbe semplice farsi trascinare, farsi coinvolgere, andare alla deriva. Invece tenere le proprie speranze ordinate è un modo per crederci ancora. E crederci davvero. Poi la malinconia magari non si tiene più, e allora si sta così. Si sta come le foglie pronte a cadere, sulla soglia dell’autunno, parafrasando qualcuno. Come le fogli che rimpiangono il ramo ancora prima di staccarsi.

Si sta a un passo dal poi, ma sempre nel prima.

Speriamo, speriamo e speriamo. Continuiamo a farlo, perchè è ciò che poi indirizza la vita veramente e molto più di tanto altro. Speriamo di riuscire a sperare sempre, di avere anche quel po’ di malinconia che non guasta e di restare alla distanza giusta tra far parte del tutto e ignorarlo. La giusta distanza che è necessità, improvvisamente, non più scelta. Necessità di mantenere se stessi distinti da una melma che ingloba.

Roberto

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