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Marciapiedi umidi

All’improvviso ci si avverte latitanti.

Ci si accorge che non si è presenti, che si è lontani, che si è stranamente via. Che si insegue molto, ma lo si insegue lontano da ciò che si è, da ciò che si sarebbe. Come se la vita fosse una prigione e noi stessimo fuggendo, braccati dalla nostalgia. Come un viaggio che comincia senza ragione, e non finisce mai.

Questo è un periodo molto bello. E usare la parola bello sembra limitante, perché “bello” può significare tutto, può esser relativizzato all’infinito, può essere addirittura inutile da precisare. Bello è per me ciò che per qualche altro è ripugnante. E’ sempre stato un concetto altalenante.

Però mi accorgo di quanto sia semplice, talvolta, sentire che la strada sotto i propri piedi è quella giusta, quella significativa, quella che sì, è proprio qui che voglio andare. Ma la strada che abbiamo sotto i piedi, spesso, altro non è che un marciapiedi. Un sicuro, rassicurante, finito marciapiedi. E pensiamo di andare da qualche parte, ma si va sulla strada, sul marciapiedi no. Perché i marciapiedi finiscono e prima o poi devi scendere. Ecco. Devo scendere. Devo scendere da questo marciapiedi umido di pioggia e stanchezza, umido di malinconie e speranze, umido di passato, umido di futuro.

Anche perché il mio sicuro marciapiedi sta finendo. La strada aspetta. Ma in strada devi guardarti attorno. Le strade si sbagliano. Le strade si dimenticano. Le strade portano anche dove non vorresti, i marciapiedi no.

E bisogna crescere. Lasciare i luoghi sicuri, per il mondo.

Diciamo che è un periodo di bambole di pezza, di palloni ritrovati in garage, di cassette di musica che si sentono ancora e parole dette a vanvera, tanto per. Un periodo di nostalgia. Forse, forse, nostalgia. O forse paura. O forse semplicemente attesa. Un periodo in cui fatico un po’ a scrivere, perché forse devo ascoltare, forse devo vivere. Chissà. Diciamo che, a guardarmi intorno, un po’ di timori ci sono. Ed è normale. Diciamo che è uno di quei momenti in cui tiri la linea orizzontale e ti prepari al risultato. Un po’ in tutti i campi della vita. Un momento in cui, forse, scendere dal marciapiedi è la cosa più giusta, anche se rischiosa. Scendere, prendere la strada maestra e proseguire, verso i progetti di un’esistenza, le passioni, gli orizzonti. Col rischio di sbagliare, con la possibilità di indovinare.

Chissà che laggiù non si imparino rotte, non si intuiscano direzioni.  Chissà che laggiù, in strada, invece che rimpiangere il marciapiedi di una giovinezza, non ci si senta felici dell’orizzonte a cui ambire. E sempre più uomini.

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L’avventura della collaborazione con EdiLet procede, e procede a gonfie vele.
Dopo aver ideato insieme il loro sito, questo è stato realizzato insieme ad hoc da un ragazzo in gambissima. Adesso è tempo di raccolta. Nel senso, molto più semplice, di dedicarsi alla raccolta di racconti “Scrivimi di questo tempo” di cui ho aspettato i frutti per due mesi. I frutti sono racconti molto belli, ognuno diverso dall’altro per intensità, tono, sapore. Ognuno una perla da infilare nella collana che la sta aspettando.

Sta venendo fuori un libro bellissimo. Significativo. Intenso. Forte. Un libro che, secondo me, non passerà inosservato. Non mancherà occasione per questo, ma vorrei ringraziare quanti hanno partecipato (mi sono arrivati oltre 200 racconti, un risultato incredibile! Nemmeno i concorsi letterari spesso hanno questo successo, grazie) e hanno saputo attendere la lettura e il responso di EdiLet con pazienza e rispetto.

L’alta qualità dei racconti giunti nella mia mail e in redazione ci hanno spinto all’idea di fare una seconda raccolta con lo stesso tema, perché sarebbe un peccato scartare racconti così meritevoli. Di questo vi terrò informato, comunque, non appena verrà presa una decisione definitiva.

Nel frattempo, un po’ di pazienza.  E chi avesse idee per la copertina si faccia avanti… subito!

Roberto

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