L’importanza del cocchiere
Quando decidi di andare, non sei ancora partito.
Ma aver deciso di seguire un percorso una strada, un sentiero è già quasi averlo imboccato e percorso per metà. Ma bastano le buone intenzioni? Bastano i propositi, le scelte casuali, gli intenti?
Quando scegli di trascurare aspetti della tua vita, a favore di altri, non sai cosa lasci, non sai cosa trovi. Spesso fai scegliere il cuore, e non il cervello. Spesso fai percorsi entro ciò che ti capita, ti affezioni, ti diverti, ti innamori, e dimentichi la tua personalissima strada, quella che fai da solo, senza nessuno accanto, quella che dovrebbe portarti dove ti realizzi, dove diventerai ciò che sogni, o quanto meno ciò che vorresti diventare.
Oltre i propositi, però c’è la vita. E ci sono problemi e ansie e paure. Ci sono imprevisti lungo la strada che sono buche profondissime, paletti inaggirabili, e malinconie e ricordi che riempiono il portabagagli. E la vita non passa più come tempo per realizzare sogni, ma forse solo come tempo per evitare incubi.
Sono quei momenti in cui all’improvviso ti senti sbagliato o credi di aver sbagliato molto, in cui dici: ma non è che sto facendo stronzate? Non è che do tanto a chi merita poco e ignoro chi ha bisogno d’aiuto? Non è che dovrei forse mettere a fuoco meglio l’esistenza, direzionare le forze con maggiore esattezza? Non è che dovrei godermi la vita con tranquillità, lasciando stare i continui nastri dei continui traguardi che la vita sottopone?
Basta traguardi. Le corse a perdifiato a cui la vita obbliga sono solo uno dei tanti modi di vivere. Si vive anche camminando, facendo caso a stento ai traguardi che si tagliano col petto, magari distrattamente, magari persino involontariamente. Forse sarebbe semplicemente da caricarsi se stesso e andare via, senza pensare ai singoli passi, ai cartelli che ti sbattono in faccia, al tempo, al traffico. Più disinvoltura, meno programmazione, che tanto la vita va avanti lo stesso e forse in maniera anche migliore se non la appesantiamo con dettagli futili.
E in tutto questo non è trascurabile l’importanza del cocchiere. Colui che si prende la briga di condurci, di accompagnarci, di dettare il passo. Credo la cosa più importante sia lasciarci condurre dal cuore, più spesso che dal cervello. Il cervello ha la sciocca abitudine di dare peso solo al risultato, alla organizzazione dell’obiettivo, ai numeri, alle somme, a chi hai davanti e a chi hai dietro quando arrivi al cartello con scritto Finish, che dietro c’ha scritto sempre Start. Ed è un po’ triste, troppo.
Anche perché poi la vita ti riserva sorprese, e allora una sera di giugno ti capita tra le mani un “te stesso” che non sei più. Perché nella vita ognuno di noi è tanti se stesso uno dopo l’altro. Tanti se stesso non per sempre. E ti rendi conto, violentissimamente, che il tempo passa anche per te. Che anche tu sei stato bimbo, e giovanissimo, e adolescente, e ragazzo, e quasi uomo, adesso. Sei stato tante persone, pensando di esserle per sempre, mentre sei stato tanti te uno dopo l’altro, non per sempre.
E ti ritrovi come un maratoneta che corre da una vita, se all’improvviso gli prende una brutta storta. Sei costretto a fermarti, ti appoggi a bordo strada, e vedi tutta quella gente che corre, corre, corre, e se ti fermi a chiedere a qualcuno dove sta andando, non ha nemmeno il tempo per risponderti. E nemmeno saprebbe cosa risponderti. Siamo un mucchio di gente che corre senza meta, e fino a due secondi fa lì in mezzo c’eri anche tu. Benedette storte!
E capisci che vivere non vuol dire solo aver traguardi, anche perchè spesso si crede di averne e invece sono sciocchezze che non hanno nemmeno la forza di renderci felici. Vivere vuol dire che io non voglio essere apprezzato per quello che faccio, ma per quello che sono. Adesso Roberto è quello che fa questo, fa quello, fa quell’altro. Ho vissuto ad una profondità diversa da tutto questo. Ho bisogno di esistere ad un piano diverso dalle mie parole o dai progetti o dagli obiettivi o dai traguardi. Qui servono sorrisi, carezze, abbracci.
Serve dolcezza. Ristrutturare i gradini consunti. Quelli che abbiamo nel cuore a forza di fare su e giù. O di prendere addirittura l’ascensore.
Proviamoci.
Roberto