Piccoli passi
Di ritorno da un mese assurdo torno a scrivere su di te, blog.
Che scriverti sopra sembra mancanza di rispetto, e sarebbe giusto dire che ti scrivo dentro, forse, ma son dettagli. Non è dettaglio che mi sei mancato. Forse la nostalgia è contagiosa come certe pesti del medioevo, però mi sei mancato. E allora tiro il respiro, e su le maniche, sgrano gli occhi. Eccomi.
Dall’ultima volta che son passato di qui son successe cose. Ma cose che non succedono tanto di frequente da dirle ordinarie. Cose importanti.
In mezzo a questo nostro distacco ci sono state ceste di ricordi incredibili, centinaia di fotografie, feconde pagine bianche in attesa del seme dell’inchiostro mio. Ci sono state luci colorate ad illuminare discorsi, e “castelli inargentati” sventolati di fresco. Ci sono state sacche di pelle, piene zeppe di fogli caldi, e fogli caldi pieni zeppi di parole bollenti. Ci sono state vanità, raddrizzate entro magici viavai di desideri, e inutili frammenti di stanchezza. C’è stato studio, anche un po’ d’amore. Ci sono state progettualità intense, viaggi studiati sulla carta, e storie che di certo sarà impossibile non raccontare.
Consigli disattesi, urgenze improvvise. Paura. Tanta paura di percorrere sentieri inutili. Di allungare il passo, cadere giù. E scoprire che la forza di rialzarsi non ci appartiene. Non più. E ci starebbe.
C’è stato persino riposo. Poi lavoro. Poi ancora attesa per sei mesi passati a leggere, scegliere, selezionare. Sei mesi racchiusi in 12×19 cm, forse uno e mezzo di spessore. Un bianco sporco, che poi è il colore della vita, e in mezzo un sacco di sguardi. Sguardi che hanno consumato fette di mondo per riportarle su carta, che hanno rischiato strati di dignità con la speranza di recuperarli. Sguardi che hanno giocato spicchi di esistenza per tentare di descriverla. Sguardi che si sono incontrati per caso. E a caso hanno confuso tematiche profonde in un gioco di luci e ombre, colori e buio.
Il risultato si tiene in mano ed è già molto. Il risultato si chiama speranza, si chiama felicità, si chiama noi.
Oggi torno da te. Con una scarpetta gialla che mi ha donato il destino e che sarà un portafortuna. Una scarpetta sola, ma non si può pretender tutto, basterà.
Non so dov’ero, quando ti ho lasciato. Né so dove sono, oggi che ritorno. So che ho fatto piccoli passi.
Piccoli, minuscoli. Ma passi.
E abbi pazienza se non scrivo spesso, perdonami se puoi. Non sentirti trascurato, non farlo, si vive fuori di qui, lo sai.
Tanto torno, tranquillo, torno sempre.
Roberto