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Vigilie e valigie

Mari che attendono. E attese che annegano.

La fine di un anno per me è sempre stata rappresentata da una valigia. Vuota prima, piena poi. E da strade e incontri e momenti in cui il destino sembra esserci di più, all’improvviso tornare attuale.

Un anno che finisce con un viaggio, un viaggio da cui inizia un anno nuovo. Un viaggio in cui quel San Silvestro di polistirolo lo sento dentro. Mica no. E che festeggio da me, mentre mancano chissà i mesi al capodanno dell’umanità.

Oceano Atlantico dal castello di Sintra – Lisbona

Manca. Manca poco. Manca poco alla valigia nel portabagagli, ai semafori rossi, agli incroci a raso. Alla sabbia, poi, alle calette. E poco manca al ritorno e a un anno ancora da rincorrere e prendere per il collo. Manca un pizzico di tempo a questo partire, a questo tornare. Manca davvero poco.

E sarà chissà cosa. E forse anche di più. Non mi importa. Il viaggio che fai non importa mai, importa quello che ti resta dentro. Il viaggio che continui a fare quando sei tornato. E dentro resta sempre qualcosa.

Mi sono sempre chiesto cosa mettere nelle valigie che mi porto dietro. E se restassi? Se restassi lontano dico, che mi servirebbe davvero? Qualche magliett a in più? Due mutande ancora? O forse una penna, o risme di fogli, o solo una persona giusta? O niente, solo me stesso, quello che troppo spesso si lascia a casa, nei quotidiani viaggi della vita?

Non so. Le valigie le riempio di cose inutili, e poi rimpiango. E poi ritorno e mi riprometto di non farlo più. Ma lo rifaccio sempre. Lascio a casa tutto ciò che mi occorre, tutto ciò che sono, e mi porto ciò che non serve mai.

Riempio valigie di insufficienza. Riempio valigie di idiozie e ci cresco la vita. Poi le svuoto, butto via tutto. Poi alzo la voce e mi chiamo coglione, e cerco valigie più belle, valigie più forti e capienti. E le colmo di stupide cose che trascurare sarebbe giusto, normale, doveroso. Come se avere valigie di un certo tipo significasse partire meglio. Viaggiare meglio.

Dimentico spesso che si può partire anche senza. Senza valigie, chiaro. Perché è noi stessi che portiamo in giro, non i contenuti più o meno sciocchi dei nostri bagagli.

Il letto è da rifare. La valigia l’ho svuotata proprio ora, è tutto a terra. La vigilia, adesso, mi ricorda che domani non sarò qui. Stavolta no. E partirò così, con la valigia vuota. Sembra più sciocco ancora, ma se trovassi un me migliore, un me diverso laggiù, lontano, almeno saprò come riportarlo indietro.

Al ritorno.

Roberto 

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