Dell’autunno e del vuoto
Avrei voglia di piangere. Ma la ragione per tirar fuori lacrime, sinceramente non ce l’ho. Così non piango.
Un attimo dopo mi viene da ridere a crepapelle, magari per un dettaglio, magari per una stupidaggine, da ridere per ridere. Ma mi rendo conto che per ridere, essere felici, serve magari altro. E non rido.
Non si ride e non si piange. E forse l ‘autunno può essere anche uno stato d’animo, un qualcosa che gli somigli, ma che accada dentro, nei paesaggi del cuore. Fa freddo, fa caldo, ma mai veramente.
Parto da questa mia sciocca osservazione per dire qualcosa che invece penso fermamente. L’autunno mi porta sempre qualche pensiero nuovo, o ne rispolvera di remoti. La nostra vita assomiglia sempre di più ad un autunno.
Ora, questi giorni di sole fresco mi lasciano sul fondo della testa un pensiero: quanto oggi ci si accontenti delle sensazioni a metà. Quanto oggi ci si accontenti del freddo che non è troppo e del caldo ventilato. E quanto oggi ci si accontenti delle mezze percezioni, delle mezze carezze, dei mezzi baci, delle mezze verità. Dell’autunno non possiamo che accontentarci, conviverci, in attesa d’altro. Il resto no, l’autunno delle relazioni, delle comunicazioni, lo accettiamo noi.
A malincuore l’autunno ci colonizza la vita. Quel tempo che non sai mai com’è, quella temperatura che fa le montagne russe, quella foglia che forse ingiallisce e forse cadrà. L’autunno è una stagione, e come tutte le altre passa via. Lascia spazio al duro inverno ma anche la speranza per una primavera nuova, e nuovi germogli e nuovi frutti e nuove assolate idee d’estate. Il rischio dell’autunno di dentro, invece, è quello di non passare. Ci si sdraia davanti al caminetto della consuetudine, si resta lì, computer acceso, e molto altro, dentro, che si spegne col tempo. Quello che penso è che la mancanza (attenzione, non l’assenza) di rapporti umani concreti, sinceri, persino semplici, possa costringere ad un autunno eterno. Ecco, l’ho detto.
La cosa che mi sconvolge è che non sono mai stato pessimista, e parlare di questo, adesso, non mi fa sentire così. Non mi sembrano previsioni, mi sembra realtà prossima prossima.
Il vuoto. Ultimamente è una delle parole più frequenti che mi capita di ascoltare da persone che mi rivolgono confidenze. Il vuoto, non la solitudine. Ci si avverte all’interno di una società formata da tanti piccoli atomi indipendenti, separati, ognuno col suo destino singolo, personale. No. Dai, no.
Il controsenso più grande lo avverto all’interno di luoghi virtuali di aggregazione sociale, di condivisione, di amicizia. Ci siamo tutti. E siamo tutti connessi a tutti, una rete comunicativa perfetta e sincrona, sogno dell’uomo al pari di quello di volare, oramai quasi realizzato. C’è un dettaglio, però, che viene trascurato. La rete trasporta informazioni, la rete trasporta idee, sensazioni, stati d’animo, forme di espressione. Il controsenso è avere la rete e sempre meno contenuti da metterci dentro. Si passano giornate a parlare di nulla, però a parlarne a tutti. Abbiamo lo strumento, non la capacità di riempirlo. Si passa molto tempo a dire cosa si vorrebbe fare, poco a farlo. E quel corridoio infinito, che conduce alle scrivanie di ogni nostro conoscente, diventa uno spazio vuoto.
Vedete? Vuoto. Può diventare questa la parola principe della nostra generazione? Vuoto.
Qualcuno apprezza il concetto di vuoto, tra questi io. Ma quel vuoto che apprezziamo è il necessario per apprezzare altro. Come a dire, apprezzo le interlinee, vuote, perché mi consentono di leggere e capire la scrittura. Apprezzo il vuoto emotivo perché mi fa sussultare alle emozioni. Apprezzo gli spazi tra le righe del pentagramma perché mi danno musica, e il silenzio perché dalle sue pause esce fuori il senso della frase. Ma quello è un vuoto fertile, fecondo, necessario.
Il vuoto che temo io è un vuoto globale. Mi accorgo di come le semi-sensazioni autunnali siano sempre molto più frequenti, sempre più umane. Questa mi sembra la sconfitta più grave. L’aver abbandonato il desiderio di provare, il desiderio di rischiare, il desiderio di esistere oltre il piano terra della materialità. Non credo spetti a me esprimere qualsiasi valutazione che esuli dalla mia personale idea della situazione, però credo che si possa, si debba, invertire nel nostro piccolo questa tendenza.
E allora occorre forse riscoprire se stessi, innanzitutto, attraverso la poesia, l’arte, la letteratura. Attraverso le passioni, l’amore, i sentimenti. Attraverso la gioia di essere da una parte piuttosto che dall’altra, di essere con una persona precisa e non con qualcuno a caso. Passare del tempo ad annoiarsi, che dalla noia escono fuori meraviglie.
Non è tutto uguale, non esiste il “tanto che cambia?”. Cambia. Cambia tutto se scegliamo qualcosa piuttosto che un’altra. Cambia ogni cosa. Perchè ogni scelta non è una stanza entro cui restare e da cui si può tornare in ogni momento. Ogni scelta è una direzione, che porterà la vita verso certi orizzonti, escludendone altri.
Diamo all’autunno lo spazio che gli spetta, quello che merita, come ogni altra stagione della vita. Poi però fremiamo, per la primavera.
Roberto