Involucri perfetti
La paura è di non capire più.
Non capire quali parole ho per descrivere il rapporto con persone al di fuori di me. Amicizia, rispetto, affetto, amore, sembrano tutti termini appartenenti a un’altra epoca dell’esistenza. E non esagero.
Oggi si parla di contatti, di colleghi, di frequentazioni, di simpatie, di rivalità. Oggi si parla di altro. Ma si pretende che la funzione rimanga la stessa. Oggi si è amici perchè ci si contatta, si è amici perchè ci si sente, ci si frequenta, ci condivide una stanza.
Ho sempre creduto fermamente che il momento principale di un’assenza è starsi lontani, non dirsi addio. E adesso mi sento lontano da quel che credevo vita, amicizia, sincerità e lealtà. Saranno attimi, periodi, parentesi. Saranno persino pessimismi che dureranno quanto una stagione. Eppure fa paura. Questo viavai di contenuti vuoti, questi rapporti del tanto per, queste relazioni appoggiate sull’aria, mi spaventano moltissimo. Ma davvero non esistono più rapporti basati sulla fiducia e sul rispetto? Sulla sana voglia di stare insieme e crescere e confidarsi e andare dalla stessa parte?
E se è semplice, fin troppo semplice, stare accanto a chiunque nei momenti di serenità e di normalità, quel che mi chiedo è dove vanno a finire i rapporti di polistirolo quando c’è bisogno di piangere, di urlare, di ridere ridere ridere fino a non saper più perchè e tenersi la pancia. Dove vanno a finire? Mi spaventa una rete comunicativa tentacolare, soggettiva, a portata di mano, a portata di mouse, a portata di cuore, quasi. Mi spaventa sebbene sia una delle più agognate mete dell’umanità. Poter comunicare con chiunque, sempre, in un attimo. Chiunque, ovunque, comunque, sempre, subito. E questo è senz’altro l’aspetto positivo di tutta la baracca. Nessuno nega l’utilità dei moderni media, sarebbe da folli.
C’è un aspetto che però si trascura troppo spesso. Un corridoio comunicativo perfetto non è sinonimo di buona comunicazione, perchè su quell’infrastruttura deve viaggiarci informazione, deve viaggiarci un messaggio, qualcosa che ne giustifichi la magnificienza. E invece è sempre più raro che ci raggiunga un messaggio sensato, che si utilizzi questo fitto sottobosco di possibilità per dire qualcosa. Dirlo a tutti, dirlo davvero.
Ci sono sentori bui, fatiche profonde, rapporti svuotati. Reti di persone in eterno contatto, social network, software di messaggistica, ci sono eventualità infinite, infiniti contatti. Ci sono pretese di leggerezza, la leggerezza di dedicarsi al fuori, a quel che di noi si vede prima, più facilmente. Pretese di immediatezza e scarsa riflessione, che andare nel profondo è sempre più delicato, più duro, più complesso. Chi ce lo fa fare? Dedicarsi all’estetica è più lineare, più semplice, più redditizio (purtroppo), più apprezzato. Quel che si vede è quel che si è.
Quello che si percepisce raramente, però, è che quella che sembra leggerezza, la leggerezza di dedicarsi al fuori, in realtà è la leggerezza che deriva dal non avere peso dentro, dove ci si ancora alla vita. Dove si mette massa per non volare via. Siamo come palloncini coloratissimi, non legati a terra. Automobili fiammanti col motore di uno scooter.
Involucri perfetti.
Poi c’è da dire che il tempo è sempre meno. E sembra una sciocchezza, visto che fino a prova contraria, le giornate durano sempre 24 ore, i mesi qualche decina di giorni, e via così. Forse a cambiare è l’uso che noi facciamo del tempo che ci è concesso. Forse è quello. Forse prima c’era un tempo altro, un tempo che chiamavamo libero, in cui l’interlocutore di noi stessi eravamo noi. In cui ci annoiavamo, in cui non eravamo ancora stati contagiati e invasi da invadenti opportunità di presenza. Parlo di cellulari, notebook, palmari, gps, … Si sapeva come rimanere distanti dal mondo, si sapeva come racchiudersi entro ambiti personali. In un tempo proprio, nostro, intero. Oggi è quasi impossibile. Oggi dobbiamo essere sempre connessi, sempre online, sempre pronti a dire “presente” senza poter aggiungere niente di più. O poco.
Manca qualcosa. Mancano pezzi importanti. Mancano bulloni. Niente sta in piedi se non ha fondamenta. Non lasciamoci invadere, no, non lasciamoci invadere dentro. Anche dentro no. Che stare insieme è ancora la ricchezza maggiore. Starci fisicamente, guardarsi gli occhi, respirarsi, tenersi le mani. Parlare. I toni di voce, gli sguardi, il calore, le gioie. Manca l’ascolto, l’ascolto interessato, coinvolto e intenso.
Scrivo tutto questo con la speranza che occorra a me per primo,
Roberto