Volontà e altre simili sciocchezze
Ti manca il fiato, hai corso molto non è vero?
Eppure guardi l’orizzonte e lo vedi lontanissimo. Ancora lontanissimo. I polmoni bruciano d’aria gelida, le gambe fanno un male lancinante. Gli occhi non sanno quasi più restare aperti. Ma non sei ancora arrivato da nessuna parte.
Ci hai messo tutto. Coraggio, desiderio, fatica. Ci hai messo volontà e altre simili sciocchezze. Eppure l’orizzonte è ancora lì. Alle spalle la strada è sempre di più, le suole delle scarpe scottano di passi andati, la memoria esplode di ricordi. E se guardi avanti pare che non hai fatto un passo, mentre dietro c’è l’eternità. Come funziona la vita? Come funziona l’amore? Come si gestisce il desiderio di andare quando sai che non arriverai mai? Te lo chiedi, vero? Adesso sì. Adesso che tra le mani hai qualche risultato concreto di cui lodarti e in testa qualche sogno da sognare più forte e da realizzare ancora.
Come stai? Come stai veramente? Da qui sembri un disastro, sembri esausto e disarmato dai crucci di una vita. Pieno di ferite e cicatrici, pieno di calcoli che non tornano, di parole che non sono in nessun dizionario. Come stai? A me puoi dirlo, lo tengo per me. È che ti voglio bene e vederti così mi fa tristezza, capisci? Ti ho visto trattenere aria per caverne sottomarine, imparare a volare per superare certe vette, e persino fare capriole, saltare, divorare deserti. Lo so, lo so che hai fatto tanto. Ma chi sei? Lascia perdere i posti dove hai scritto il nome, per dimostrare al mondo che erano tuoi. Lascia perdere le tasche in cui hai infilato soldi, perché pensavi di comperare la serenità. Lascia perdere le nozioni ripetute a memoria, per dimostrare di aver studiato. Lascia perdere tutto. Persino i cuori che hai conquistato, i corpi che hai amato. Ascoltami. Ascoltami, ti prego. Tutto questo non mi interessa più, affatto.
L’ascolto. Qualcuno dice che è il latitante della comunicazione di oggi. Il vero assente. L’ascolto. Sarà pure così, e tu lo sai, però sai pure che ad ascoltarsi ci vuole talmente poco e sai anche che lo sforzo vale sempre. Sempre. Ascolta. Ti scrivo per sapere chi sei. Perché saperlo, adesso, è quel che mi preme di più. Voglio conoscere la persona che c’è dietro il tuo viso, lo sguardo che hai dietro gli occhi, le parole sotto la lingua, i piedi senza le ciabatte.
Chi sei? Posa la penna, lascia il mouse. Pensa alla distanza che c’è tra quel che ti ritrovi ad essere e quel che volevi, tra il luogo in cui stai leggendo e quello in cui vorresti passare la vita. E dimmi se sei tu, la persona che vorresti essere. E dimmi dove vuoi arrivare, dove sei diretto. Già, dove sei diretto? Fermati, fermati un attimo, che di attimi non si muore mai, e nemmeno si perdono quando servono a definire una rotta. Dove stai andando? Sei sicuro di saperlo? E sei sicuro che per andare dove desideri si va da questa parte?
E le periferie, e periferie dei sentimenti, che ruolo ricoprono nella tua vita? Le abiti? O le eviti? E lo vuoi davvero quell’orizzonte che ti scappa? Lo vuoi davvero? Vale la pena passarci dietro una vita? E se la cosa più preziosa l’avessimo dentro come la frutta, come i fiori, come il mare, come i cassetti pieni pieni di fotografie, come un ventre incinta, come un cervello?
E se gli orizzonti da raggiungere fossero quelli di dentro? Se fossero quelli che fanno già parte di noi? Se la nostra vita fosse solo un velo posato su quel che siamo veramente, quel che siamo davvero, che lentamente dobbiamo far scorrere via per rivelare il più possibile di noi?
Fermati, adesso. È tempo di pensarci e chissà, magari capire.
Roberto