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Il coperchio del cuore

Mese intenso, natalizio, decisamente diverso. 

Non per sempre che spunta fuori all’improvviso, come il beccuccio di un pulcino da un uovo, e cerca di dire qualcosa. Qualcosa di semplice. Un timore, una speranza, un futuro, una decisa e svuotata sofferenza.

E un Natale che non sentivo più, e che quest’anno invece è qui. E si fa vivere con dolcezza, inaspettata dolcezza. E penso ai Natali che il mondo ha vissuto senza di me, mi vien da ridere. Dov’ero?

Il faro che ci vorrebbe. – Salina (Li – Isole Eolie)

E poi neve. Quest’anno sì, fin dentro le scarpe, fin sopra il cuore, forse. Neve necessaria, isolante, più bianca di quanto la mia memoria sapesse ricordarla. Neve che si posa, e se ne va dopo qualche giorno, e non lava soltanto, come la pioggia, ma depura, sbianca, deterge.

E bisogno di capire perché certe fili non li tengo più per le mani. E certe persone non le tengo più dentro me. E perché certi sogni li ho nascosti per fingermi di non averli mai sognati prima. Finché non sono tornato a sognarli e mi sono svegliato con la rabbia impotente di chi sa che l’alba succede sempre e solo dopo una notte.

E ho bisogno soprattutto di capire perché chi se ne va ha quest’energia incredibile, questa proprietà inspiegabile di provocare nostalgia. E chi resta mai. E perché, maledizione, io resto sempre. Perché mi ostino a resistere, a voler dare a ogni cosa una forma, una dimensione, uno spazio.

Qualcuno sta leggendo Non per sempre. La promozione è abbastanza immobile ancora. Non lo sto facendo girare molto. Vorrei camminasse da sé. Vorrei che le parole avessero i denti, le unghie, i pugni. E sapessero farsi largo, ricavarsi spazio, scavare.

Le prime risposte, le prime sensazioni, il sentore che smuove tutto quanto a riproporsi, ancora una volta. Ancora. Le parole di chi legge le parole di chi scrive. E aldilà di ogni giudizio di merito e di valore mi stupisco ancora di come proprio loro, le parole, abbiamo questa incredibile capacità di entrare, fermarsi, restare.

Ecco, le parole restano.

E sento vibrare il coperchio del cuore. Come capita alle pentole colme d’acqua sui fornelli accesi. Solo che sotto al cuore mio non brucia nulla, forse dentro. E il coperchio del mio cuore vibra per questo: perché dentro c’è qualcosa che bolle. E che a volte è veicolato da parole che sanno esprimerlo, a volte meno. Ma quando il matrimonio tra ciò che c’è dentro e le parole con cui esce fuori funziona, allora il cuore smette di bollire per un po’.

E forse è il mio corpo il coperchio del cuore. E le emozioni che avverto attraverso i 5 sensi. E tutto ciò che non so spiegare a me, per primo. E vorrei aver la forza per afferrare una presina di gomma dura, prendere il coperchio e gettarlo via. Permettere al cuore di respirare. E guardarci dentro, finalmente, per capire da dove viene ogni singola sillaba. Ma ho paura. Paura che svanisca la pressione con cui vengono fuori certe gioie, certe trepidazioni, certe inquietudini. Così lo lascio lì, e mi godo piccole ma intense esalazioni a pressione.

È bello pensare tutto questo. Più difficile convivere con la sensazione di essere sempre a un metro da qualcosa, da qualcuno, e mai in sua presenza. Di fronte a eterni traguardi approssimativi.

Mai come adesso avrei necessità di un faro. A indicare la rotta, a evitare gli scogli, a lampeggiare il riparo di un porto. Mai come adesso. Che vado e a volte stento a capire dove. Che arrivo e non so perché, che mi fermo e non so quando.

Un faro semplice, che sa indicare la via anche di giorno però.

E sa aspettarmi, che io ho il vizio di rimanere anche quando è giunto il momento di andare.

Roberto

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