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Trent’anni, all’improvviso.

All’improvviso fai trent’anni, amico mio.

Che ancora sembravano lontani, anche solo un attimo fa, e invece adesso sono sottobraccio alla tua vita. E ci vai a spasso.

E allora senza rendermene conto mi ritrovo a scrivere di te e dei trent’anni senza averli mai avuti. Senza sapere cosa sia averne così tanti (pochi non sono) e così pochi (in fondo, quanti sono?). E quando finisco di scrivere mi accorgo di aver osato, di aver buttato il piede più in là del passo che so sostenere. Però è per te, eccolo.


TRENT’ANNI

Trent’anni sono la soglia della gioventù, il bicchiere mezzo vuoto che diventa mezzo pieno.

Trent’anni sono persone che non hai più, e tutte quelle che non hai avuto. Sono quelle che hai perso come un portafogli, o ignorato, senza nemmeno dar loro la possibilità di viverti. Sono le macchine che hai avuto e quelle che volevi, sono i quaderni pieni di parole che chiunque li legge non capisce nulla, eccetto te. Sono lampade dirette verso un foglio bianco, sono malinconie troppo buie per essere ignorate e sapori troppo forti per ingoiarli senza vomitare.

Trent’anni sono una vita. Sono mesi, e giorni, e ore, e secondi. Trent’anni sono attimi. Sono briciole che fanno pane, e gocce che fanno acqua. Trent’anni sono trascorsi importanti. Sono fermate che hai ignorato, e frenate che hai improvvisato. Sono finestrini da cui il mondo passa correndo, sono mani strette senza ricordarne la forza, la consistenza, il tepore. Sono balconi da cui ti affacci per dipingere. Sono carezze regalate a chi non meritava niente, e pugni che hanno lasciato lividi immeritati.

Trent’anni sono i resti di un amore grande. Così grande che dentro non ci stava più, così bello che non sai nemmeno raccontarlo. Così tuo che c’è rimasto nel tuo cuore, e c’è morto. Trent’anni sono i resti di tanti altri amori, che ti hanno risorto a tempo, come il timer di certi videogiochi. E trent’anni sono anche gli amori che avrai avanti. I seni su cui perderai le lacrime, i corpi che coprirai di gemiti, le labbra che saturerai di promesse. Trent’anni sono i sogni che restano quando ti svegli dalla gioventù, e inizi a vivere da uomo. Trent’anni sono adesso.

Trent’anni sono le amicizie che pensavi sane. Gli occhi che pensavi onesti, le spalle che pensavi larghe. Trent’anni sono gli amici che non hai più, e che chiamare così non ha senso alcuno. E sono gli amici, adesso invece sì, che ci sono ancora e su cui puoi contare finché hai sangue in petto. Trent’anni sono le persone che credono in te, le persone che sanno dove esisti veramente, e non solo il tuo indirizzo.

Trent’anni sono i paesi che i tuoi occhi hanno visto bene. I paesi dentro cui sei cresciuto, dentro cui hai imparato a credere nella vita. Quei paesaggi che sai a memoria, dove qualcosa è successo lì, la prima volta. E sono i passaporti che timbrerai quando andrai oltre i tuoi confini. Sono i cartelloni in cui pubblicizzerai te stesso, per piacerti di più. Sono le foto in cui all’improvviso saprai di esser stato bambino, e di aver avuto una famiglia, di aver avuto un pallone, un cane, una stanza che grondava di miti e di speranze, di ambizioni e cartoline. Desideri a taniche.

Trent’anni sono gli scorci medievali della gelosia, i golfi spumeggianti della tenerezza. Monti, mari, colline e deserti. Ecco. Trent’anni sono i deserti che hai attraversato senza una goccia d’acqua, senza una bussola, senza una coperta per la notte. Trent’anni sono il polo nord e l’equatore, sono l’Himalaya e il Congo. Sono i colori primari e l’arcobaleno. Trent’anni sono i paesi che vedrai, i ricordi che ricorderai. Sono i dolori di cui riderai, le gioie di cui piangerai. Sono le mani rugose di una nonna, i fascismi modernizzati dai ricordi. Sono le tonalità sbagliate di una macchina acquistata di fretta, sono paure di notti troppo buie, e vertigini che assalgono e fanno cadere.

Trent’anni sono gioie che puoi solo ricordare, e sempre meno, e dolori che invece le ferite te le mantengono sempre vive, sempre aperte. Trent’anni sono sorrisi che invecchiano sulle fotografie, e lacrime che non ricordi di aver pianto. Sono altalene ferme, sono prati consunti proprio lì dove cammini più spesso, sono palloni rattoppati con la camera d’aria mezza fuori. Sono porte di travi di legno inchiodate alla meno peggio. Sono pini e resine, sono terra e ringhiere sempre troppo basse. Sono ponti pericolanti, e caramelle mezze succhiate. Sono motorini ribaltati sulla ghiaia, e macchine della polizia, e birre e sigarette, e pizza, pizza pizza da non poterne quasi più. Trent’anni sono cimiteri, sempre più lunghi da visitare. Trent’anni sono fondamenta per i lutti da affrontare, ma anche base per una casa nuova, che si chiama come te.

Trent’anni sono il corpo di una donna che non ami mentre la stai amando. Sono urla per un piacere che non stai provando. Sono tessere mancanti quando il mosaico è finito. Sono il dolce tepore di una casa tutta tua, ma vuota. Sono i figli che non avrai, le mogli che hai immaginato senza sposarle. Ma anche tutti i figli che invece concepirai e porterai a passeggio impacciato come i padri di periferia, che arrivano a prenderli mezzora prima, ma alla scuola sbagliata. E insegnerai loro il tuo mestiere, le mani stanche, le spalle zeppe, la schiena piegata, e il mestiere di vivere.

Trent’anni sono i pacchetti scartati, i compleanni dimenticati. Sono i regali ostinati, quando non ce n’è motivo di farsene. E si fanno per senso di colpa, per abitudine, per nostalgia. Sono le feste spensierate, che ormai non sai quasi più cosa siano. E quelle che invece hai passato sotto le coperte a piangere come un disperato. Sono le corse a perdifiato, sono le torte che hai mangiato senza candeline, e le candele che hai trovato per terra, in un giorno qualunque, e ci hai illuminato la vita.

Trent’anni sono olio che viene fuori da un bicchiere che si riempie d’acqua, sono ricordo che diventa esperienza. E sono tutto ciò che hai avuto e tutto ciò che si può avere.

Trent’anni sono le mani e il cuore di chi ti ama e cerca parole per te, senza sapere cosa siano davvero i trent’anni.

Roberto

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