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Come si dice addio

Addio.

Dico a te, addio.

Addio per sempre, che altri addii l’uomo non ne sa dare. Proprio a te che agli addii non hai mai creduto, che hai camuffato tutto dietro altri concetti, altre parole, altre sciocchezze, altri argomenti. Dico addio a te che non hai mai saputo dire questa parola semplice, perché ti sembrava di decidere, di recidere, di uccidere

Addio per ogni giorno che ti resta da vivere, e ogni lacrima che ti resta da piangere, per ogni sorriso, per ogni gioia, per ogni carezza che vivrà il tuo cuore. Addio. Addio. Per. Sempre.

Del resto non è che possa dirti addio per un mese, per un anno, per due. Abbi pazienza, sarebbe un ciao, sarebbe altro. “Addio” e “per sempre” sono due parti della vita che vanno insieme, anche se siamo così sciocchi, ma così sciocchi, da dimenticare che, a stringere, il “per sempre” non esiste mai.

Consideriamo sempre e mai, i nostri sempre e i nostri mai, ma sono solo opinioni di eternità, nulla di più.

Addio, adesso, per tutto quel che abbiamo saputo essere e per tutto ciò che non saremo mai, per tutto ciò che abbiamo sognato e non abbiamo saputo sognare.

Addio per questo vuoto che mi resta nella stanza più grande del cuore, dove un tavolo ancora da sparecchiare mi ricorda che abbiamo mangiato qui, insieme, poco tempo fa. Addio. Addio per le foto in cui sorridi e quelle in cui guardi altrove, quelle in cui non appari ma ci sei lo stesso, quelle indecenti e quelle mosse, quelle bianche e nere, e quelle nemmeno scattate.

Addio. Ecco come si dice addio. Si tira un sospiro. E. Addio. Fatto. Che ci vuole?

E che sia un addio, per cortesia, che non stiamo mica giocando, no, non lo stiamo facendo. Io non ho mai sopportato le altalene, mai, ma le ho sempre avute dentro. E forse per quello sono stanco di girarci sopra. Sulle altalene sembra sempre che fai chissà che, che vai vai vai, con tutto quel vento in faccia, e quando scendi sei sempre lì, stesso punto, a calpestare le tue stesse orme.

Addio. Seriamente addio. Non mescoliamo addii e arrivederci come frutti dello stesso bosco. I sapori è bene tenerli separati.

Addio addio e addio.

Che fai? Non te ne vai? Io non ti voglio più. Non voglio più dividermi, non voglio più dividerti. Voglio dividerci. Perché forse a dare qualcosa a tutti si finisce col non dare niente a nessuno. E nessuno potrà avere il mio tutto. Qualcuno dice che chi sa apprezzare si accontenta di briciole, anche se le briciole non saziano.

Come si dice addio se non così? Come si dice addio se non addio?

Addio mi sembra la parola più sciocca che c’è, adesso, perché gli addii non c’è bisogno di definirli, forse. Di dare loro un nome, una data, una dimensione. Né di dirseli. Gli addii scattano come salvavita, quando c’è ancora la possibilità di salvarsela la vita. E sono chiarissimi nei cuori onesti, nei cuori franchi. Chi non lo ammette prende in giro innanzitutto se stesso. Chi si ostina nei recinti aperti mitiga il distacco violento con una più tiepida malinconia, come quelli che si tolgono i peli ad uno ad uno, invece che strapparli via a strisce.

Adesso credo che l’addio sia una dimensione di dentro, forse, molto più che una scelta concreta. Una postura interiore, che ci rende lontani, estranei, sebbene stretti, sebbene nudi, sebbene insieme. Un tentativo di abbraccio schiena a schiena, un tentativo di stringersi le mani dai dorsi. È tutto il contrario, maledizione.

E non è vero che non ti voglio. Forse ho solo paura a volerti. Paura ad ammettere che sei la parte più bella della mia vita, la parte più dolce, la parte più a fuoco. Forse ho solo paura a credere che dopo un addio un domani sia ancora possibile. Forse ho solo paura di vivere, di viverti, di sentirmi felice. Uno rincorre la felicità per una vita e si riduce a viverla infelice. Non è assurdo?

Si pensa sempre alla felicità come a qualcosa da raggiungere, un luogo, una stanza, una vetta, un orizzonte. E invece la felicità è una direzione, prima ancora che una meta.

Ti dicevo che credo che un domani sia ancora possibile. Un domani è sempre ancora possibile. Sempre, vedi? Ci casco anch’io in questa sciocchezza del “sempre”. Prenditi cura di te. Anche se adesso che ti vedo allontanarti vorrei prendermi cura io di te, come mai prima. Adesso che ti vedo le spalle, invece che gli occhi, e i talloni invece che le mani. Adesso che muovendoti sei già lontana. Adesso che sei fuori. Fuori da qui, da me, da noi. Adesso che l’addio è diventato addio. Adesso…

…arrivederci.

Roberto

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