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La stanza che contiene l’orizzonte

Quando si torna a casa dopo tanto tempo ci si ritrova in mezzo a una grande e incomprensibile confusione. Com’è possibile questo caos? Se sono stato lontano così a lungo com’è possibile che al mio ritorno io ritrovi tutto sottosopra?

Non c’è stato nessuno qui, nel frattempo, ne sono certo. Non si è mosso nulla, è tutto fermo, è tutto in un disordine emotivo che contagia anche le cose, anche gli oggetti, le situazioni.

Eppure ecco lì la mia scrivania, ecco il computer, i libri, i poster, la borsa in cui ripongo qualche sogno. C’è tutto, persino certe penne che hanno smesso di scrivere, e certi fogli ingialliti dai giorni che in questo periodo passato altrove non hanno smesso di trascorrere.

Ma qui non c’è stato nessuno. Le mie cose mi hanno atteso, immobili come figurine in un album. Non sono stato invaso o contaminato da estranei, non c’è stato un solo ladro a rubarmi una briciola, niente di niente.

Eppure qui c’è un caos che non vi dico. Ma perché? Possibile che le cose si muovano da sé? Possibile che uno se ne vada per un po’ e al ritorno è peggio che se avesse messo disordine di proposito? Non vi so spiegare, credetemi, qui c’è tanta polvere e un senso di abbandono che si respira, come un odore acre e violento, che dà fastidio. Finestre restate chiuse troppo a lungo, il divano che ha ripreso la sua forma, le lampadine quasi tutte fulminate.

Apro tutto adesso, e il sole entra raggio a raggio, ordinatamente, e restituisce a ogni oggetto il suo colore e la sua forma. Qui dentro tutto riprende a respirare, e vedo qualche alito di vento invadere questa stanza dimenticata, dove ho custodito per anni tutto quel che sono stato, da cui poi all’improvviso mi sono allontanato senza volerlo.

Un soffio di vento più forte fa cadere fogli rimasti lì, mesi, ad aspettare mani. Non ricordo cosa c’è scritto sopra, non ricordo nemmeno se l’ho scritto io, e quando, e perché. La scrittura si dimentica come le cose belle, come i sorrisi, come le gioie. La scrittura passa dentro come un fiume, e quando scroscia come cascata dalle dita, non ci appartiene più.Mi fa paura pensare alle cose che capitano senza che nessuno le desideri. Agli imprevisti, ai dolori, agli amori. A tutto ciò che ci arriva in faccia come uno schiaffo immeritato. Ed è quasi tutto così nella vita. Quanto riusciamo davvero a progettare e ottenere rispetto a ciò che semplicemente ci capita? Veramente pochissimo.

Ecco, essere rientrato qui mi fa pensare a quelle poche, pochissime, cose che ho progettato. Alle mie idee, ai miei patimenti, ai fremiti di giornate indimenticabili. Vedere tutti i miei sogni lì, insieme, nello stesso spazio visivo, sebbene impolverati e logori, mi fa provare gioia. Così comprendo, scorrendo qualche foglio a caso, riscaldato da questo sole che percepisco nuovo e che invece è sempre stato lì, che siamo noi troppo spesso a dimenticarci delle cose belle.

Ma loro mica smettono di esistere…

E la colpa più grande (o forse solo la responsabilità) che possiamo imputare a noi stessi, è che dimenticarci delle cose belle è un lusso che non ci possiamo permettere. Vengo assalito da un pensiero che mi turba adesso. Sbagliavo a ritenere chiuso questo ambiente, a considerarlo disabitato, inabitabile, e vuoto, per tutto questo tempo che sono stato via. Il caos che ho trovato è dovuto a una presenza, a un aggressore bell’e buono. Parlo del tempo. In questa stanza, in mezzo ai granelli di polvere, al riparo dai raggi del sole, infilato tra le righe che ingiallivano, tra le parole che sbiadivano, gli oggetti che annerivano e talvolta smettevano di funzionare, c’era il tempo, che passava e rendeva possibile tutto questo.

Cosa ne è di un luogo e degli oggetti di una vita quando non sono prossimi a una vita? Cosa succede a una penna dimenticata sotto una sedia per sempre, a mezzo bicchiere di vino rosso lasciato su un tavolo, a una finestra chiusa, a un letto disfatto, a una caramella non mangiata, a una scarpa, a un braccialetto, a un cassetto incastrato, a una lettera d’amore non spedita, a un racconto pieno di errori? Cosa succede alle nostre cose, senza di noi?

Succede che ci tradiscono col Tempo. Gli si concedono senza inibizione, senza freno, e noi, che da un’altra parte facciamo lo stesso, al nostro ritorno non riconosciamo niente. E ci sentiamo estranei in casa nostra, tra la nostra vita. Però è così dolce, adesso, tornare qui. Riscoprire il desiderio di andare avanti con ciò che si ama. E tornare sugli sfondi che fanno risaltare ciò che si è davvero. Oltre gli orizzonti raggiunti, che diventano presto passato, presto ricordo, e non contano più molto. E cedono il passo a altri orizzonti.

Apro un foglio di carta scritto fitto. Ho lasciato a metà una parola, non un frase. Una parola! Cosa può avermi distolto con questa assurda fretta da qualcosa che stavo raccontando, avermi sollevato di forza e portato via?

Me stesso, probabilmente. L’andarmi a cercare, il ritrovarmi, il portarmi indietro. È stato fatto.

Adesso è impossibile riprendere a scrivere da dove avevo lasciato. Sono successe troppe cose e forse quella storia non mi interessa più, non mi piace più. I fogli sono ingialliti tutti, ma alcuni sono ancora puliti, fertili.

E io ho così tanta voglia di tornare a casa.

Roberto

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