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La proprietà salvifica della scrittura

A saperlo forse avrebbe cominciato molto prima. Avrebbe preso un foglio, innocente, e l’avrebbe sporcato senza timore, senza ritegno, senza pietà.

Non avrebbe badato alla forma, perché nel cuore, qualunque cosa ci vada a finire, non ha nessun ordine, nessuna regola, nessuna possibilità di essere incanalata, gestita, resa lineare. Le emozioni sono tramonti, chi saprebbe descriverli? Vediamo macchie rosse, notiamo qualche arancione sbiadito, i più attenti riescono a cogliere parti violacee, parti quasi azzurre, parti nere. Ma chi saprebbe descrivere con accuratezza un tramonto?

Ci sono cose che non possono essere raccontate. Non sono molte, per la verità. Le parole hanno imparato a fungere da strumento sempre più attento di descrizione della vita. Erano pochissime, all’inizio. E i gesti, i gesti quotidiani, erano un compagno fondamentale per farsi comprendere dai propri simili. Poi il linguaggio si è evoluto, lentamente. Si è arricchito di parole come un salvadanaio, che ogni sera tintinna di nuove monete, gli avanzi di quella giornata di esistenza. E alla fine è diventato ricco. È diventato esatto, sempre più capace di descrivere quel che c’era intorno a noi. Le emozioni. I dolori. Le delusioni, le gioie. Sempre più capace di rendere la realtà attraverso righe di lettere composte, appoggiate là, su quei fogli in eterna attesa di contenere emozioni.

La scrittura è diventata strumento sempre più esatto per accompagnare la vita. Ogni giorno sempre più pronta alla sfida del raccontare, del descrivere, del tenere a bada la realtà nella gabbia dorata delle parole.

Poi qualcuno ha compreso che la scrittura non era solo pane, ma anche poesia. Che non era utile solamente per le liste della spesa, i codici di leggi, i bollettini medici. Qualcuno ha compreso che attraverso le parole era possibile raccontare quel che non era chiaro a nessuno, neppure a chi stava raccontando. Qualcuno ha compreso che attraverso quello strumento magnifico era possibile arrivare a una consapevolezza notevole di tante “cose” umane, fino a quel momento trascurate senza rimpianti. Così ha iniziato a prender parte a quella battaglia, ancora attuale, tra il significare e l’essere. Tra la realtà e la nostra capacità di renderla chiara (di inventarla, talvolta), a chi abbia il piacere di leggerla o ascoltarla.

Le parole si son fatte sangue, labbra, sabbia, rifiuti, lacrime, umori sessuali. Hanno preso l’onere di essere anche qualcosa di diverso da ciò in cui si erano cullate per tanto tempo. Hanno iniziato ad esistere ad un livello più profondo, a significare sentimento, a intendere dolore, ad esigere il diritto di dire le cose come stanno davvero. E abbiamo provato paura. Tutti quanti. Paura di non saperle dire le cose della vita. Di non saperle capire, e condividere. Paura di utilizzare le monete fuoricorso di quel salvadanaio sempre più ricco della nostra lingua.

Poi qualcuno è stato salvato dalle parole. Nemmeno lui sa com’è successo. A un certo punto la tempesta è finita e lui si è ritrovato su una spiaggia. In salvo. E in mano aveva se stesso. Si era perduto qualche tempo prima, si era perduto dentro la vita ed è venuto fuori come nuovo. È riuscito a trovare lo spazio, il tempo, la motivazione, il coraggio, l’amore, le speranze, il futuro. E non ha potuto disconoscere il potere salvifico della scrittura. Non ha potuto non rendersi conto che lui, senza quella “cosa” lì, sarebbe stato altrove, si sarebbe perduto come un gatto nella foresta amazzonica. E sarebbe morto. Morto fuori, morto dentro.

E chi non c’è passato stenta a capire.

I drogati pensano che sia molto facile smettere di bere, gli alcolizzati che sia davvero banale smettere di avere ossessioni sessuali, e i pazzi che sia fin troppo facile dire no a una strisciata di cocaina. Ecco, la scrittura riempie le vene, diventa dipendenza e accoglienza. Diventa motore. Diventa esplicitazione di sé, aldilà del tutto, aldilà di tutto. Diventa vita all’improvviso.

Un attimo prima non sapevi come chiamarlo, l’attimo dopo non ne puoi più prescindere. Le parole danno consistenza alle cose. Definiscono confini esatti di ciò che comprendono ed escludono. Basta saperle usare e non confonderle, basta volerle usare e non eluderle.

Chi si è salvato così, attraverso parole (anche sconnesse, anche senza senso, anche inutili) messe in ordine sui fogli bianchi della sua esistenza, non ha altro da fare che saldare il suo debito. Saldare il debito di riconoscenza con chi gli ha ridato la vita.

Scrivere.

Roberto

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