L’innocenza delle incertezze
Non so veramente che fare, e allora?
Non so che dire, come muovermi, con quale piede alzarmi dal letto la mattina. Passo ore a decidere i colori della mia giornata, abiti, accessori, malinconie. E la mia giornata vola appresso a queste profonde indecisioni.
Sciocchezze, dirà qualcuno, ma è come finire dentro un mulinello. Si va a fondo sia che si nuoti sia che non lo si faccia. Si salva solo chi è abile a lasciarsi galleggiare, resistendo a quell’istinto di sopravvivenza che fa sbattere le braccia senza criterio. Ecco, mi alzo dal letto e non ne so il motivo. Poi metto miele nel latte e mi sembra inutile, mi sembra quasi di far torto allo zucchero, o di dovergliene dare scusante.
Davanti allo specchio rifletto. E in entrambi i significati di questa parola mi perdo. Da una parte osservo questo corpo e cerco di renderlo presentabile alla gente, dall’altra mi conto i pensieri e tento di restituirli alla vita.
Bello, tutto quel che penso, tutto quel che sarei, altrove.
Sono un’isola che è stata collegata alla terraferma da un’autostrada. Cos’è tutto questo baccano? Cos’è tutta questa gente? E dove andate? Cosa fate? Questa è casa mia… ecco, questa è casa mia. Non potete fare della mia terra ciò che volete. Andatevene! Vi ospiterò quando potrò, quando sarò in grado di farlo e avrò spazi, e avrò silenzi, e avrò gioia sufficiente per condividerne. Adesso no. Adesso non so che fare, e tutto questo mi rende schiavo.
Eppure mi è stato chiesto. Un giorno è venuto uno che mi assomigliava e mi ha detto: stiamo costruendoti addosso, ne verrà fuori una bella autostrada, un ponte monumentale, e tu potrai raggiungere tutti i luoghi che vorrai, basterà desiderarlo e mettersi in cammino. Non dissi sì, lo ricordo bene. Ma a volte è sufficiente non dire di no, ed è un sì di ripiego. Dell’incertezza che conteniamo troppo spesso ne abusa chi ci vuole male. È capitato così. Quel tizio non me l’ha detto che anche gli altri avrebbero potuto raggiungere me così facilmente, invadermi, piantare le loro sciocche bandiere. Così non vale. Dovrebbero farli a senso unico certi ponti, dentro di me tutta questa gente non c’entra.
Che colpa ne ho? Che colpa ne ho se non ho spazio? Se non so scegliere, se non so dire addio, se non so dire no, se non so restare cementato sulla posizione che prediligo? È forse una dote la capacità di scegliere? O la vera dote è l’incertezza?
Qualcuno si loda di saper mantenere le posizioni a prescindere dalla vita che conduce. Qualcun altro di sapersi adattare progressivamente alla vita che gli cambia sotto al sedere. Qualcuno di non scegliere mai e di vivere quel che le vicissitudini della vita scelgono al suo posto.
Coerenza, duttilità o eterna incertezza.
Cosa paga davvero? E quanto ci è concesso di scegliere come essere nella nostra vita? Quanto di ciò che siamo è dote, quanto attitudine e quanto scelta? Potrò diventare ciò che non sono mai stato? Stringere il pugno, smettere di nascondermi dietro l’innocenza falsa di questa incertezza, e dimenticare i terremoti?
Chi lo sa? Apro la porta, e sull’uscio di casa comincia una nuova giornata. Resto immobile. Si comincia.
Scale o ascensore?
Roberto