Circonferenze aperte
Capita a tutti, mi dicono così.
Mi dicono che passa, che nemmeno fai in tempo a percepirne il peso e già hai altre storie con cui fare i conti. Mi dicono che è un giorno qualunque, un giorno semplice, alla fine, che non ha spessore ulteriore rispetto alle 24 canoniche ore di tutti gli altri. Mi dicono stai attento, mi dicono non aver paura, mi dicono ricordati sempre di noi, mi dicono dimenticaci. Poi mi guardano in silenzio, qualcuno, il più attento, mi dà una pacca sulla spalla, e dice auguri. Lo dice sussurrando, quasi fosse un segreto. E invece non lo è. Lo dicono tutti che non può essere un segreto, in fondo si tratta di un’addizione semplice: 1981+30=2011.
Palese. Inequivocabile. Matematico.
Mi si incurva la schiena, divento circonferenza, contengo la mia vita, questi trent’anni come fossero miele e sale, pane e girasoli.
Dentro. Tutto quanto. Paziento.
Ne ho tanta di pazienza da spendere e oggi mi sembra un’occasione speciale. Matematicamente sono qui, trent’anni dopo. Mi piace pensare, però, che i numeri c’entrino poco, che c’entrino di striscio, che quel che capita oggi, e questo non me l’ha detto nessuno (perché?), sia un pretesto per pensare a me stesso.
Per comprendere dove sono, chi sono, e perché. Un pretesto del calendario, una tappa, un check-point. E allora ci provo. Dai, ci provo.
Molti mi dicono basta con questi pensieri, vivi!, e non comprendono quanto proprio questi pensieri siano la mia vita. Ed esulino dai rubinetti che perdono, dalle ferite che sanguinano, dall’acqua che bolle sui fornelli. Chi si ferma a riflettere non vive meno, non vive peggio, non vive pesantemente, semplicemente decide di pensare qualcosa, di analizzarlo, di snocciolarlo, prima di metterlo in pratica. Ma chi l’ha detto che non sappia vivere o che quello struggimento renda davvero la vita peggiore? Chi l’ha detto che non sappia fare degli ottimi spaghetti alla carbonara, riparare un rubinetto, ridipingere una ringhiera? Chi l’ha detto che il cervello escluda le mani, la praticità, il concreto?
Mi dicono Smettila di piangerti addosso, e non hanno mai sorriso. Mi dicono occorre avere un ideale vero, una fede, un desiderio, calore, e non hanno mai avvertito davvero cosa si prova ad avere un attimo di follia, non saprebbero cosa dirne. Mi dicono, poi, le persone davvero sensibili sono così poche, bisognerebbe che tu Roberto coltivassi la tua sensibilità per non smarrirla mai, e non si emozionano davanti a un tramonto, a un neonato che succhia un biscotto, a un verso di una poesia.
Urlano: nella vita occorre guardare sempre avanti, crederci davvero, non fermarsi mai, e non fanno in tempo a dire questa frase che io sono già sparito e di me non vedono nemmeno la targa. A volte, a forza di non fermarmi ho dimenticato persino dove stavo andando, perché. Non ricordo la gioia di un autogrill, la dolcezza di una piazzola di sosta. Non ricordo il sapore di un caffè di primo mattino, gustato con quiete. Mi fanno ridere, da morire. Mi parlano di non fermarsi mai, e non capiscono che, al contrario, non solo dovrei farlo ma restarci a lungo immobile, fermo, paralizzato. Riposare.
Altri mi rimproverano, mi dicono Piantala, sii artefice di te stesso, sii re, sii uomo, e non hanno bandiere, confini, talvolta persino regni su cui governare. Lo dicono come se potendo io non volessi esserlo, o fosse semplice, liscio, un interruttore.
C’è chi dice Sei solo tu il tuo destino Roberto, e non sa scegliere il costume per andare al mare. C’è chi mi dice di pregare e non ha Dio, chi mi dice di giocare e non conosce regole, chi mi dice di scrivere e non sa leggere. Alcuni mi dicono Dai delle priorità alla tua vita e vivi soltanto per esse, per realizzarle, poi si voltano e costruiscono le loro case sulla sabbia, i loro amori sulle dighe, le loro amicizie sull’orlo dei vulcani. Mi parlano di onestà, mi parlano di diritti inalienabili, mi parlano di rispetto e di speranza, mi parlano di amicizia e di matrimonio, mi parlano di carezze e perversioni. Mi parlano, mi parlano, mi parlano.
Mi dicono Ehi, Rob, ma tu l’hai capito che più ti prodighi per gli altri e più lo prendi in quel posto?, mi dicono Ma chi te lo fa fare?, mi dicono Pensa a te, mi dicono Pensa a chi ami, mi dicono Pensa al futuro, mi dicono Pensa al momento che vivi, goditelo, mi dicono Pensa a realizzarti, mi dicono Pensa alle persone che ti leggono, poi mi dicono Pensa al tuo corpo, mi dicono Pensa alla tua mente, coltìvati. Poi mi dicono Non pensare troppo però, eh.
Altri ancora mi dicono sorridi. E sono quelli che mi fanno più tenerezza, perché piangono, si disperano, si struggono. Poi guardano me e mi dicono sorridi. Sorridi, non lo vedi che la vita è bella? E in quei loro occhi lucidi comprendo ogni volta, puntualmente, la differenza tra le parole e la vita.
Sono tanti gli insegnamenti che uno crede di aver appreso nel tempo che gli è stato concesso di vivere. Poi quando ti chiedono quali sono, non te ne viene in mente neppure uno. A me in questo momento ne viene in mente solo uno: la differenza tra le parole e la vita. Questo credo di avere compreso in trent’anni. Non male, come bilancio, mi dicono. Già, non male.
E in questa circonferenza aperta, in cui c’è tempo ancora per mettere tante cose, ho compreso la distanza tra le parole (dette, scritte, pensate…) e la realtà. Questo mi porto addosso come dono di questi anni. La speranza è di divertirsi tanto con le prime, e vivere pienamente nella seconda. Pienamente.
Non comprendo, ancora, il sapore vero di queste lacrime. Dolci, dolcissime, ma anche pesanti come tutto ciò che da una scelta consapevole verrà definitivamente escluso. Starò davvero piangendo? È gioia? Questa lacrima è gioia?
Nonostante le intenzioni completamente opposte ho scritto intorno alle parole degli altri. Incorreggibile finto egoista. Inguaribile egocentrico. E sbaglio, sbaglio tanto. Però mi capita da qualche tempo di sbagliare in modo diverso da prima.
Adesso sbaglio sempre per l’ultima volta, poi cambio errori. A mio modo, in un certo senso, è un modo di crescere.
E mi auguro di continuare a farlo, disegnare questa circonferenza lentamente, ma in maniera inequivocabile.
Roberto