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2013 – Una dichiarazione d’amore

Funziona ancora tutto quanto. Ne sono passati di anni, eppure gira tutto come se fosse il primo giorno. Sei funzionale, efficiente. Mi basti. Non mi lamento. Sembri uno degli ultimi modelli, e invece sei un computer di molto tempo fa.

Bisogna accenderti per comprendere il problema. Fuori sei bellissima. Curata, lucida. Hai uno stile moderno, lineare, elegante. Colpisci. Ti sceglierebbero ancora in mezzo a tanti, con quelle forme decise e addolcite dalla grazia dei dettagli. Sei nuova nuova nella tua vecchiaia.

Poi ti accendo e ci metti un po’. Dentro di te ho tutto quel che mi serve. Sei il recipiente delle mie aspirazioni, sei il contenitore dove sono veramente. Vedere che arranchi a illuminarti è doloroso. Fatichi. E io mi sento vulnerabile. Hai la dolce costanza degli amici annosi, e la loro severità. E la gioia di dirmi, lampeggiando, che ce l’hai fatta anche stavolta. Mi doni uno schermo bianco, luminoso. Il mondo mio. Ci penso, però. Ci penso sempre. A cosa succederebbe se un giorno non ti accendessi più. E io restassi di fronte a uno schermo spento, scuro. Requiem.

Ci penso e resto atterrito, finché il foglio che ogni volta mi regali non mi invita a scriverti addosso. E dimentico. E mi lascio prendere dalla vita e dalle interlinee entro cui cerco di nasconderla. Poi finisco, si finisce sempre. E ogni volta ti saluto, ti spengo e penso “e se fosse questa l’ultima volta”? E penso: “e se fosse questo il nostro saluto”? E mi sembra sempre troppo poco quel che abbiamo scritto insieme, le storie e le scemenze, le lettere e le speranze. E ricordo la pazienza che hai avuto ogni volta che ho battuto i tasti con troppa forza, o lasciato cadere distrattamente briciole sulla tastiera. Ricordo quella volta che ho fatto cadere il tè, e ho pensato di averti persa. E quell’altra in cui un temporale ha mandato in tilt l’impianto elettrico e ho dovuto aspettare ore per capire se ti eri salvata. E ogni volta che devo spegnerti penso a quanto dovrò aspettare per rivederti. Penso a quando la vita così pregna di inutili appuntamenti mi concederà tempo buono per noi. E mi manchi già, mentre ti spengo e ancora non sei spenta. Mi manchi prima ancora di separarci. Chi può capire tutto questo?

Ora, ad esempio, mi guardi così. E a me non importa se tutto quel che ti ho caricato sulle spalle gira a rilento. Se è utile, o no. Se sei colma di programmi sciocchi, di applicazioni ridondanti, e di mille bazzecole che non servono a niente. Non m’importa se hai le schede che non mi consentono di giocare online, o se l’audio gracchia un po’ quando qualcuno ti urla dentro. Non m’importa nemmeno se capita che con te non posso fare velocemente certe cose. Perché mi interessa farle con te, molto più che farle e basta.

È troppo facile buttare via qualcosa, sostituirla, quando non funziona più. Consumare novità senza imparare ad invecchiarle, senza affezionarsi mai. Forse ormai le cose vanno così, ma adesso tu mi guardi, e a me balza in testa il pensiero dolce che senza te non sarei lo stesso. E che i fogli bianchi sono dappertutto, ma non sono tutti uguali. E hanno la stessa importanza delle parole che raccontano una storia. E le parole puoi buttarle addosso al mondo, oppure no. Ecco, no. Sono nostre.

Mi basta questo. Che insieme siamo così e che, illuminato da te, io riesca a essere liquido. Tutto ciò che fanno in più gli altri computer più moderni non mi riguarda. È un dettaglio.

Ora riposati, basta per oggi, abbiamo ancora tante cose da scrivere insieme.

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