Ostaggio dell’autunno
C’è il sole da qualche parte dietro le nuvole. C’è, dicono. È rosso, caldo, una palla di fuoco.
Io l’ho dimenticato. Si può dimenticarlo. Capita così. Che smetti di guardarlo. E smetti di pensarlo. E alla fine il suo ricordo ti stupisce, diventa una sorpresa.
Dov’è?, ti domandi. E appena smetti di chiedertelo, inizi ad averne nostalgia. Come se fosse la cosa più normale, che sia giugno e il sole sia vacante.
La verità, in questi giorni di quasi estate, è che siamo ostaggi di un autunno che non passa e non ha pietà della primavera che ha rimosso dai calendari, e del sole che ha recluso lassù, là dietro, in seconda fila. Siamo ostaggi di un autunno generalizzato. Che costringe a cambiare abitudini, tempi, desideri. Un autunno vischioso come miele, che ha la superbia di sdraiarsi sui mesi che non gli competono, e ingrigirli, e bagnarli di piogge impreviste, tristezze improbabili.
Questo mi sembra motivo di riflessione, adesso, più che mai: l’autunno. L’autunno che ha dato una spallata al sole, e ha guadagnato spazio non solo sulle agende, ma nelle nostre vite. Attendiamo la primavera ogni anno, per risorgere, e avvertire i fremiti della rinascita umorale, fisica, energetica. La primavera come un capodanno del desiderio, da cui partire per iniziare a emozionarci di nuovo.
E invece sta capitando questo, che la primavera non giunga più. Non in ritardo, più.
Ed è autunno ovunque. Lo guardo. È autunno. È autunno negli occhi dei giovani che cercano lavoro, e in quelli degli uomini che lo perdono senza pietà. È autunno nel sentimento. È autunno nelle donne malmenate e uccise, nell’amore che è diventato possesso, nel possesso che è diventato status. È autunno nell’ipocrisia di relazioni che girano a vuoto. È autunno nelle scuole, negli ospedali, nei palazzi della politica. È autunno nello sport, e nelle piccole gioie della vita che non riusciamo ad afferrare, o consideriamo seccature. È autunno nell’ispirazione e nella poesia – che non sappiamo cogliere –, in certe amicizie – d’interesse, di calcolo –, nella prevaricazione costante dell’altro, nell’inciviltà dilagante, nella puntuale vittoria della forza sul rispetto.
È autunno nelle parole – terrificante, profondo – e le parole sono invecchiate, forse moribonde. Non sappiamo più dircene. Non sappiamo più inventarle. Ci illudiamo di non averne più così bisogno. Parliamo senza capirci, urliamo senza ascoltarci. È autunno, è autunno e basta sulle tende da sole avviluppate, sulle finestre chiuse, sui bermuda ancora nei cassetti. È autunno per chi ha la bicicletta pronta a volare sui tornanti dei castelli, è autunno per chi vorrebbe tirar giù la cappotta della macchina e per i caffè che si freddano troppo presto.
È autunno dappertutto, maledizione. E quest’anno è ancora autunno anche nel cielo, sugli alberi, nell’aria. Non passa. Sarebbe capitato prima o poi. L’autunno funziona come i virus. Contagia.
E questo autunno fa storia. Siamo così, adesso, come vediamo intorno. Siamo autunno noi.
Non abbiamo nulla da dare – sembrerebbe – in cambio della libertà, né esiste qualcuno che pagherebbe questo riscatto.
Siamo ostaggi di un autunno che resiste ma che insisto nel considerare passeggero.
Ricordo i fiori sbocciare altezzosi, il vento fresco sulla pelle. Ricordo il sudore dell’amore. Ricordo spalle nude di donne con le infradito sgargianti. Ricordo gocce di gelato sull’asfalto, che sfuggono a lingue troppo lente per il caldo del pomeriggio. Ricordo il momento esatto in cui la primavera si fa estate. Lo capisci: le angurie prendono sapore e le fragole stanno bene anche senza zucchero. Addosso non vorresti niente e c’è sempre qualcuno, in giro, che abbassa il finestrino e canta a squarciagola.
Siamo in attesa del sole, dell’estate. E dimentichiamo che – in attesa che il sole reagisca all’autunno – possiamo farci “sole” noi. Scaldare, illuminare, donare vita.
Da tempo costruisco chioschi per i gelati, pianto ombrelloni, pulisco spiagge per camminarci a piedi nudi, quando sarà tempo. Da tempo parcheggio dove dovrebbe ricomparire l’ombra. Da tempo preparo il lungomare che vorrò percorrere mille volte, e tengo sempre un costume pronto, vicino alla porta.
Io ci credo ancora alla favola del sole, che dovrebbe dire basta, adesso, a tutto questo. E venirsene qui. Davanti. Fare quel che sa fare.
Pretendere il posto che gli compete.
Come me, come tutti.