Tutti gli infiniti noi
All’improvviso mi è sovvenuto un pensiero. Stamattina. Era presto. Era un mattino livornese di pesce fresco e sole delicato che a malapena ti scaldava le dita.
Un pensiero esatto. Come il numero che c’è subito dopo l’uguale di un’operazione complessa eseguita con cura. Esatto. Ma dove vanno a finire tutti i noi stessi che non siamo? E dove vanno a finire quelli che non saremo mai? Sul momento ho bevuto un caffè, socchiuso le palpebre disrturbate da quei tiepidi raggi di un sole pseudo-primaverile. Ho lasciato che quel pensiero scomodo non attecchisse. Ho lavato con cura la chiglia della mia giornata con tutto l’olio della razionalità che possiedo.
Ma che diavolo di domande ti vengono di prima mattina? Che diavolo di domande. Già. Domande che ti si insinuano dentro, che cercano sentieri interiori per percorrerti l’anima. Il problema (l’ho capito solo più tardi) non è tanto chi sei rispetto a chi vorresti essere. Non quello. Non solo. Sarebbe stato forse troppo banale, forse.
Il problema è ben diverso. Riguarda ciò che tu non puoi più essere. Si dice che ogni scelta ne esclude altre. Certo. E ogni scelta lascia strade non percorse, campi non seminati, paesaggi che non vedrai mai. Certo. E tutto l’insieme delle strade non fatte, a ritroso, sembra una radice nodosa, che affonda nel passato. E nel passato cerca di vivere. Non sto parlando di semplice nostalgia, nè di rimpianti, o rimorsi. Parlo di quel che si diventa lentamente, senza che possiamo realmente coglierne l’evoluzione, i susseguenti step. Parlo di quando un giorno ti ritrovi un’età che non sai e che sembra esser balzata direttamente da quando compravi una pizzetta rossa all’alimentari di fronte scuola, parlo di quando ti vedi su un’auto, di quando pensi al fine mese, ai conti. Parlo di quando d’un tratto ti percepisci un risultato di tante variabili, che stenti però a cogliere per intero. Stenti a distinguerle.
Parlo di quando ti estranei un istante dal tuo corpo e ti vedi lì, a organizzare presentazioni per un tuo romanzo, e all’improvviso sembri aver dimenticato perchè hai iniziato a scrivere, quando, in che occasione. E sembri quasi protagonista di una tua storia, una tua stessa storia, dove tutto fatica a non esser reale, pur essendolo completamente. Eccoti lì, di fronte al pc, a scrivere di te.
Ma dove vanno a finire tutti gli infiniti noi che saremmo stati se avessimo fatto altre scelte?
Dove vanno a finire tutti i Roberto che non hanno scritto Giusto un amore, o non l’hanno fatto finire a quel modo? Che non hanno scelto di lavorare per le Ferrovie, che non hanno scelto di esprimersi scrivendo? Dove vanno a finire tutti i Roberto che non hanno amato a mio stesso modo, o sperato nella mia stessa maniera? C’è un luogo preciso? C’è un luogo in cui si incontrano tutti i nostri infiniti noi stessi che saremmo potuti essere?
Dove vanno a finire i Roberto che non hanno seguito i miei passi, accolto i miei bivi?
E’ probabile che io li porti dentro. Come desiderio. E un po’ ricordo. O malinconia, discreta. E ci convivo. Consapevole che esistere è fare scelte. Sempre e solo quello. Sempre.
Roberto