La ragazza con il cane
E’ capitato qualcosa di strano, oggi. C’era una ragazza col cane.
Era lì, in mezzo a tutte le persone che non avrei mai notato. In mezzo alle centinaia di persone che vedo ogni giorno, che vivono accanto a ognuno di noi. Ognuna dalla propria vita. Quasi imbavagliata dentro le proprie conoscenze a tenuta stagna. Era, e sarebbe rimasta, quel che è ogni persona che incontriamo, senza conoscerla. Ogni persona che guardiamo, senza parlarci.
Aveva una gonna di velluto verde che ciondolava proprio sopra al ginocchio. Un cane nero, al guinzaglio. Carina. Molto carina. Ma faceva parte di tutte quelle piacevoli persone che ci sfiorano le braccia, e scivolano via.
Poi, il caso. Per un motivo indipendente dalle nostre distinte volontà abbiamo parlato. Due parole. Lei sorrideva, senza avere un motivo per ridere (anzi!), però sorrideva. Aveva i capelli ricci e castani, che le cadevano sulle spalle, la vita magra, gli stivali neri.
Ed eccomi qui. A fare lo stesso errore che facciamo sempre. Descrivo il suo aspetto, il suo modo di vestire. Eppure non l’avevo notato per niente.
Non era quello che mi avrebbe spinto a scrivere di lei. Non era quella gonna, neppure gli stivali, o i capelli ricci e castani.
Dunque, per una volta, parlerò di ciò che veramente ha meritato attenzione. Il caso, dicevo. Due parole. Poi un suo sorriso. E quella mia, improvvisa, sensazione di aver già avuto a che fare con lei. Chissà dove. Chissà quando. Mentre parlava, mentre le spiegavo alcune futili cose, mi rendevo conto che avevo già ascoltato quel tono di voce. Che avevo già distinto nel passato quel sorriso. Come se appartenesse ai miei ricordi, senza che lo ricordassi.
Invece non era da nessuna parte. Non c’era nei miei ricordi. Andava a Modena. Da Napoli. I suoi occhi non li avevo mai visti prima. Ne sono certo. Eppure dentro c’era il sentore che alcune fattezze, alcuni suoi modi mi appartenevano. Mi erano familiari.
C’ho messo un po’ per capire.
Mentre lei parlava non mettevo bene a fuoco le sue parole, mi lasciavo toccare dal tono di voce, da i suoi movimenti lievi, dalla sua postura, da quell’attenzione impercettibile al circostante, a come il mondo intorno a lei si muove, respira, è vitale. Mi dava l’impressione d’esser svelta, e timida, attenta, e distratta, colorata, e sbiadita. Aveva qualcosa di un qualche personaggio che ho inventato. Di una protagonista di un qualche mio racconto, o libro, o idea. Sembrerà impossibile, ma lei già esisteva nel mio cervello, nel mio cuore, in ciò che ho già messo nero su bianco da qualche parte.
Un accenno di saluto. La ragazza col cane di là. Io verso casa. Senza nemmeno sapere il suo nome.
Dentro quest’assurda sensazione che non so mandar via.
Scrivere è creare un mondo, da una parte, con tutte le regole che vuoi e i paesaggi che sogni, e le densità che più ti riguardano. Ma dall’altra è così paurosamente vivere. Vivere il mondo che hai fuori dal petto, descriverlo. Nello stesso medesimo tempo.
C’è già una ragazza col cane, dentro di me. Ed è anche fuori. Forse il senso dello scrivere è questo: fare in modo che quelle due ragazze si guardino in uno specchio e si riconoscano.
Mi piace pensare che la ragazza col cane possa un giorno leggere queste parole. E chiedersi perchè proprio lei possa essere considerata la protagonista di un romanzo. Nemmeno ci rendiamo conto talvolta, che ciò che immaginiamo possa essere così reale… possa avere una tale consistenza da avere una sua precisa forma fisica. Una voce. Un sorriso.
E invece eccola lì.
Roberto