Impronte e intenzioni
In quest’ultimo periodo mi chiedo spesso se mi guardi.E resto immobile come uno scemo, impietrito di fronte alla banale violenza di questa domanda. Mi guardi? Tu, da lì, puoi guardarmi?
Il destino delle cornici
Chiunque, prima o poi, vive il momento in cui si ferma a tirare il fiato a bordo strada?Immaginate un corridore instancabile, che ha già girato il mondo solo con la suola delle sue scarpe, solo con l’energia dei suoi polpacci. Immaginatelo stanco, poggiarsi col palmo di una mano a una panchina occasionale, immaginatelo con gli occhi lucidi, stremato, forse felice, forse soddisfatto, ma talmente affaticato da dimenticarsi persino la ragione del suo viaggio, della sua continua ricerca di esistenza, di quel suo andare e andare senza arrivare mai.
Bolle di sapone
Le avevo qui, accanto al gomito che si muove nervoso su questa scrivania invernale. Le avevo vicine, impiastricciate nel maglione, come briciole di crostata, conservate oltre l’amore, oltre il petto, oltre le capacità umane di farne ricordo.Le avevo, lo giuro. Ti prego credimi.
L’anno buono
È l’anno buono questo, lo dicono in tanti.E ognuno dentro sé lo spera buono per un ambito che gli sta a cuore, per l’ambito di cui forse ha più bisogno, o sente di più la mancanza. È l’anno buono per uscire dalle crisi, dice qualcuno, e trovare finalmente un lavoro fisso e ben retribuito, un’occupazione che realizzi le nostre ambizioni, qualche soldo di più in tasca, qualche piccola soddisfazione colorata.
Il prima
Prima di tutto questo c’era un giardino molto curato, lo ricordo bene. Non c’era un fiore, uno solo, che non fosse al proprio posto, al posto giusto, dove chiunque altro l’avrebbe piantato. Non c’era petalo che cadesse senza permesso, non c’era erbaccia che crescesse senza pietà.
Quasi
LOGORE MEMORIE DI UN GIOVANE CHE ASPETTA UN FUTUROHo quasi trent’anni e dentro me ne sento forse dieci e forse cento. La mia età ha tutto quel che deve avere, i capelli bianchi qua e là, le prime noie, i primi rimpianti che prendono consistenza, gli occhi un po’ più lucidi, ma è solo stanchezza, per carità. Non mi lamento mica. C’è anche tanta vitalità, quasi una casa, quasi un passato già buono per essere raccontato. E sono quasi padre e quasi figlio. Perché non sono ancora l’uno, e non più l’altro. E provo quasi una gioia.
Almeno una parola
ADDIO IN FORMA DI RACCONTO All’improvviso non seppe che dire. Non trovava nessuna parola, neppure una, neppure una delle migliaia con cui giocava ogni giorno, che potesse essere adatta a quel momento. Una parola che potesse riaprire discorsi interrotti, detergere zigomi lisi da lacrime incessanti. Una parola che potesse far galleggiare speranze affondate come piombo dentro un mare di eventi e di cose che ricostruire sarebbe stato impossibile.
Come si dice addio
Addio. Dico a te, addio. Addio per sempre, che altri addii l’uomo non ne sa dare. Proprio a te che agli addii non hai mai creduto, che hai camuffato tutto dietro altri concetti, altre parole, altre sciocchezze, altri argomenti. Dico addio a te che non hai mai saputo dire questa parola semplice, perché ti sembrava di decidere, di recidere, di uccidere
Sbagliando
Sbagliando si impara, si dice. Io sbaglio e imparo, ma continuo a sbagliare. Come funziona? Voglio dire: ci sarà un attimo in cui l’errore che ha portato ad una comprensione, ad un apprendimento, a una interiorizzazione dell’errore stesso saprà lasciarsi alle spalle il concetto stesso dello sbagliare. Esiste questo momento? Il momento in cui uno riesce a dire a se stesso “vabbè, ho sbagliato ancora, pazienza”, senza che quell’ennesimo errore diventi scandalo, nervosismo, dolore?
Oggetti smarriti
Quante cose perdiamo nella vita? Quante persone? Quante sensazioni, che condividevamo con qualcuno senza saperlo e che ci facevano stare in uno stato di inconsapevole dolcezza, all’improvviso non le proviamo più?
Queste parole
Le mie parole sono un pozzo. E io ci sono finito dentro.Un pozzo largo, che sembra una stanza matrimoniale, che sembra una sala da ballo. Poco illuminato, ma profondo, profondissimo, umido. Un pozzo che sembra assurdo definire accogliente, ma lo è. Lo è davvero. E ci sono finito dentro mentre passeggiavo nella vita come su un lungomare, strascicando i piedi stanchi di pianure e asfalto.
Si sta facendo sempre più tardi
Si sta facendo sempre più tardi. Sempre più tardi. L’orologio impazzisce, il ventre stretto della clessidra si allarga a dismisura. Si sta facendo sempre più tardi, lo senti chiaramente. Ti guardi intorno, con una piroetta, e vorresti dirti che non è così, ma il mondo ti cambia addosso, ti cambia sopra, ti rovina sulla schiena, ti frana sulle mani. E spesso raccogli cocci di qualcosa che nemmeno ricordi.
Quando tornano i conti
I conti tornano quando hai smesso di aspettarli. All’improvviso. Tu hai appena chiuso la porta, ti sei ritirato, fuori pioveva a dirotto, la pioggia batteva sulle imposte, ticchettava sui vetri, bagnava fino quasi alla soglia della tua persona. Sei rimasto lì a guardare, sperando smettesse presto, che avevi molto da fare, ma dovevi farlo al sole.
Della prossimità e di altre gioie – Elogio della distanza
Come si toglie tutto questo dal cuore? Non che mi interessi realmente, lo dico per dire. Si può togliere l’infinito dal cuore? Si può estirpare un certo vento dall’anima?
E perdonami se non ritorno.
Scegliere un posto e chiamarlo arrivo. Quanto ci vuole? Un attimo, uno spazio, un pennarello. Cose semplici, alla portata di chiunque. Lo stappi e scrivi in stampatello ARRIVO. Poi ti siedi e ti riposi prima di una nuova partenza. Perché sei tu a decidere quando fermarti, sederti, respirare. Sei tu, non l’hai ancora capito?