Parole dell’autore

Si dice che ogni persona è un’isola, e non è vero, ogni persona è un silenzio, questo sì, un silenzio, ciascuna con il proprio silenzio, ciascuna con il silenzio che è.
Josè Saramago

 

Ho concluso la scrittura di questo romanzo in tutta fretta, poche settimane prima di compiere 30 anni. Era il 2011.

Avete letto bene: duemila undici!

Ero impegnato nella stesura da almeno tre anni, da quando mi venne in mente di trasformare un mio racconto premiato in numerosissimi concorsi, I pazzi siamo noi, in qualcosa di più organico e completo come un romanzo. Mi piaceva l’idea di parlare di pazzia, di tentare di abitare quello spazio esiguo che esiste tra follia e normalità.

Avevo deciso di partecipare ad un Premio letterario e la scadenza imminente divenne stimolo per portare a termine quell’Asciugami gli occhi che, all’epoca, mi pareva concluso.

Il giorno del mio trentesimo compleanno andai alla premiazione del Concorso IOSCRIVO, indetto dalla Giulio Perrone Editore, in una splendida libreria di Roma, orgoglioso di essere tra i dieci finalisti, davanti a una giuria che contava personaggi del calibro di Walter Mauro, Dacia Maraini, Ugo Riccarelli.

Durante la premiazione, quando venne annunciato il podio, c’ero anch’io! C’era Asciugami gli occhi!

Ci fu una pausa prima del gran finale in cui avrebbero definito con esattezza il podio e il vincitore. Ricordo di aver preso un caffè shakerato buonissimo. Palpitavo perché non pubblicavo qualcosa dal 2008 e quel – questo – romanzo mi piaceva molto, mi convinceva con quelle pagine così diverse da tutto quello che avevo scritto fino ad allora.

Il primo premio era la pubblicazione e la “Giulio Perrone” una casa editrice in forte ascesa. Insomma, fu grande la delusione quando appresi di essere arrivato secondo a pochissimi punti dal primo.

Me ne tornai a casa un po’ mesto, sarebbe stato un bel regalo di compleanno. Forse fu la delusione, forse qualche altra forza interiore che non compresi subito, ma quel romanzo lo riposi nel cassetto. Era pronto, finito, concluso e aveva anche convinto una giuria d’eccezione, ma per qualche ragione me ne disaffezionai.

Rimase lì, rilegato con una spirale, con tanto di frontespizio, dedica e ringraziamenti.

Poi non so dirvi che è successo, l’ho dimenticato. Ho pensato a vivere, probabilmente, a riprendere fiato, elaborare lutti, ricostruirmi, per diversi anni. Scrivevo, sì, certo, non si smette mai, ma più che altro racconti brevi, aneddoti, scemenze. Questo romanzo, in un certo senso, mi aveva svuotato. Ci avevo messo dentro quasi tutto quel che avevo.

Da allora, ho pubblicato una raccolta di racconti (Miniere cardiache) e un altro romanzo (Verso qualcuno), e ho fatto un sacco di altre cose, ma quel romanzo – questo – mi attendeva in quel cassetto, come un cucciolo, in attesa che tornassi a prendermene cura.

Nel 2018, un giorno, così, senza intenzioni, ho riaperto quel file e l’ho riletto tutto. Mi ha convinto, sebbene sentissi la necessità di intervenire qua e là per aggiustarlo. Così ho fatto, grazie anche all’aiuto di una editor molto brava, Cecilia Rutigliano, che ringrazio. Nel 2019 è arrivato l’interessamento di diverse case editrici, tra cui ho scelto Il Ciliegio, che mi ha convinto per il progetto editoriale, la distribuzione e la professionalità.

Così, eccolo qui. La storia di una pazzia che nasce da un incidente, e diventa normalità.

Eccolo qui, a pochi giorni dai miei 40 anni.

Sono passati dieci anni, in cui queste parole sono state parte salda della mia vita, in cui questa storia è diventata mia ogni giorno di più, ogni giorno un po’, e ho imparato a volerle davvero bene. Perché quello che capita a Paolo Magri, in sostanza, è quello che capita a tutti quelli che smettono di vivere molto prima di morire. Anche a me.

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