La copertina di Antonio Galati
Un ricordo.
“Hai già il titolo?”
“Miniere cardiache. Sarà questo, quasi sicuramente. Miniere cardiache.”
Lui si assentò qualche istante. E io avrei pagato per passeggiargli in mente.
Disse: “E a che avevi pensato? Hai qualche idea?”
“Mi piacerebbe che raffigurasse un cuore…”
Ci fu un attimo di silenzio, dove tutto avrebbe potuto essere possibile.
“Un cuore?”
“Un cuore disegnato, diviso in atri e ventricoli, con delle scene di amori quotidiani, dentro.”
Dai suoi occhi vedevo che le linee prendevano forma, i colori si rincorrevano, si fermavano, si concedevano in anticipo a quell’intuito che li sapeva afferrare. Lo sguardo altrove. Lui lì.
“Scene quotidiane?”
“Sì, fai tu. Mi fido ciecamente.”
“Scene d’amore?”
“Scene d’amore.”
Una sera tra amici, una qualunque cena già vissuta altre volte dove cambiano gli argomenti e restano gli attori, gli stessi, sempre. Ricordo un vino rosso, leggero e importante. Una tovaglia crema. Ricordo che parlammo di futuri come si parla di cose che, poi, accadono.
Era il 2011. Luglio. Fuori il caldo dell’estate romana, dentro noi a parlare di cosa mancava, e cosa invece c’era già. Fu quella la sera in cui nacque l’idea di questa copertina. È difficile risalire al momento esatto in cui qualcosa inizia ad esistere. Qualcosa che prima non c’era, e poi c’è. Antonio restò immobile qualche altro secondo.
“Ci penso io”.
Lo disse in un modo genuino, artistico, aveva in testa già il prodotto finito. Consegnato. Redatto. Limpido. Quel modo non ammetteva repliche, e io non ne diedi. Il momento fu quello.
Quegli occhi non li ho più scordati.
Mi disse che era zeppo di lavoro, che probabilmente ce ne avrebbe messo di tempo, ma che la cosa lo solleticava molto, lo stimolava. Non avevo fretta. Hanno tempi strani le parole, vite sussurrate, declini, sospiri, sussulti. Si ammalano, guariscono, talvolta muoiono, talvolta fioriscono. Potevo immaginare di metterci quattro anni ancora?
Eppure era bello. Quel parlarsi senza dire molto. Quell’attendersi, mentre pensavamo reciprocamente alla stessa cosa da due punti di vista molto diversi che, però, per qualche ragione, erano seduti allo stesso tavolo. Forse le cose iniziano ad esistere da momenti così, da cortocircuiti emotivi che non lasciano nulla indenne.
Due giorni dopo mi mandò una bozza, di cui fui entusiasta. Mi travolse.
Una settimana dopo ebbi la copertina pronta per essere impaginata, la stessa che oggi è diventata copertina del libro.
Ha dormito nel mio computer soltanto 4 anni.
Oggi è il vestito di questa raccolta improvvisa, e tiene al caldo alcune parole a cui tengo molto, di questi ultimi dieci anni di vita. Prima non c’era. Eccola. Ora è imprescindibile dal resto, gli appartiene.
Esiste modo per riconoscere a qualcuno di aver creato qualcosa che contenevamo già, senza saperlo realizzare? Per dire Grazie Antonio, per aver liberato qualcosa che trattenevo e non sapevo comporre?
No. Però dentro certe cose passano. E certe restano.
Il grazie più vero sono queste cose qui.
Roberto